Domenica 28 ottobre 2018

Ss. Simone e Giuda

Dal vangelo secondo Marco 10, 46-52 In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

‘’Abbi pietà di me’’

A cura di don Claudio Arletti, collaboratore Acli Modena

Come la guarigione di un cieco (Mc 8,22-26) aveva introdotto il serrato confronto tra Gesù e i discepoli attraverso le molteplici predizioni della Passione, così ora una seconda guarigione chiude la catechesi sulla Pasqua. Bartimeo, a differenza dei Dodici, risulterà però una figura estremamente positiva. Non sembrerebbe avere le carte in regola, ad un primo sguardo. Il v. 46 lo descrive menomato, incapace di lavorare e dunque «mendicante», per concludere poi sulla sua forzata immobilità. Non vede, non cammina, non possiede. Tuttavia proprio grazie alla sua condizione può incontrare appieno il Cristo. La sua avventura nasce da un grido che è autentica preghiera (v. 47). Abbiamo ancora in mente quella capovolta dei figli di Zebedeo. Qui invece Bartimeo non domanda di fatto nulla di specifico. Domanda la grazia di cui l’uomo ha bisogno per vivere e davanti alla quale è sempre immobile e mendicante: il dono della compassione divina. In greco, l’espressione corrisponde a quella da noi utilizzata durante la liturgia: «Abbi pietà di me!». Tuttavia, il senso originario dell’espressione non intende chiedere certo commiserazione, ma percepire l’amore fedele e gratuito di Dio. E’ una preghiera che lascia libero il cielo di manifestare misericordia come crede, anche senza la guarigione. L’amore di Dio è più importante del benessere fisico o psichico. Queste realtà prima o poi inevitabilmente passano. L’amore fedele di Dio è invece durevole come la roccia. Per questo Bartimeo non impone ma supplica.

La sua preghiera è preceduta da due titoli che uniscono l’umanità del Figlio di Dio – chiamato per nome – alla sua dignità messianica, quando è invocato come «figlio di Davide». Stupisce come un mendicante cieco veda così bene. Si direbbe che nessuno, fra la folla, abbia una coscienza così lucida e marcata dell’identità di Gesù. Bartimeo ha una sorta di preveggenza sul Cristo. Sa che può guarirlo, secondo quanto i profeti annunciarono del Messia, medico dell’umanità malata. Eppure nessuno, stando al testo, gli ha parlato di Gesù.

Se i Dodici non colgono il mistero del Figlio dell’Uomo, sebbene favoriti dalla solitudine e dalla frequentazione continua, Bartimeo raggiunge la medesima vicinanza nonostante l’ostilità della folla (v. 48). La gente, infatti, intima al cieco mendicante il silenzio. Ma questo serve solo ad aumentare l’intensità del suo grido. È ancora la fede, che conosce la venuta certa del Salvatore. Niente potrebbe spezzare il grido della fede perché chi crede è sicuro che Dio non mancherà al proprio appuntamento con la salvezza dell’uomo.

Solo al momento in cui Gesù gli rivolge l’esplicita domanda su quanto desidera, Bartimeo chiede di «vedere di nuovo». A questo punto è come se il Cristo fungesse da semplice testimone che constata la forza della

fede, vera luce che ci spinge infallibilmente verso il nostro Salvatore e ci fa riconoscere in lui la speranza di un futuro nell’amore.