Domenica 30 settembre 2018

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

Chi è dentro e chi è fuori?

Commento a cura di don Claudio Arletti, collaboratore Acli Modena

Se occorrevano altre conferme all’incomprensione, unico vero tratto che accomuna Gesù ai suoi nei cc. 8-10 di Marco, basti notare la transizione fra il brano di domenica scorsa e il passo propostoci per l’odierna. Gesù aveva ripreso i Dodici, impegnati a stilare classifiche, invitandoli all’accoglienza dei fanciulli, atteggiamento di chiaro disarmo e disponibilità. La replica dell’apostolo Giovanni, con cui inizia la pericope di questa domenica è sconcertante. Egli ha bloccato chi, nel nome di Gesù, scacciava un demonio. Siamo agli antipodi rispetto alla più elementare accoglienza dell’altro. Non pensiamo però che il caso sia distante dalla vita delle nostre chiese locali.

Esiste, infatti, una parola, usata abbastanza di frequente nel gergo ecclesiale: la parola «lontano». Chiamiamo «lontani» coloro che non si riconoscono nella comunità parrocchiale o nelle associazioni e movimenti cattolici. Chiamiamo «lontani» coloro che, in qualche modo, avvertiamo essere su una linea differente dalla nostra, quanto alla fede e alla sua prassi. Il brano evangelico di oggi mette profondamente in questione questa categoria assieme a chi l’ha creata. I non appartenenti, infatti, da chi sono «lontani»? O da dove sono «lontani»? La lontananza da un certo modello di comunità ecclesiale è sempre identificabile con la lontananza da Cristo?

La pagina di Marco che abbiamo letto sembra distinguere nettamente il modo in cui Giovanni e il Maestro percepiscono questa categoria. E se i lontani li creassimo noi? Se fossimo noi a creare dei confini rigidi, in base ai quali c’è chi è dentro e chi è fuori?

Il testo sembra ironizzare sull’atteggiamento di Giovanni: egli, con le sue parole, è convinto di produrre una affermazione di incondizionata fedeltà a Gesù e al gruppo che lui ha costituito. Pare davvero che egli stia per meritare un elogio da parte del Maestro e la sua forte approvazione al di là dell’esito della proibizione. Il testo greco, infatti, lascia in sospeso l’esito della proibizione messa in opera dai discepoli: «Un tale faceva esorcismi – recita il testo originale – e noi glielo impedivamo» (v. 38). Viene utilizzato un imperfetto che allude ad un’azione prolungata, reiterata, ma forse incompiuta. Sembra quasi che questo outsider abbia realizzato il suo esorcismo. Non è stato possibile fermarlo. Il nome di Gesù ha manifestato, ancora una volta, la sua forza di liberazione.

L’obiezione mossa dall’apostolo all’esorcista non autorizzato si muove su due registri: il verbo «seguire» e il pronome «noi» (v. 38). Il verbo utilizzato è quello tecnico della sequela. Se il discepolo non si mette in atteggiamento di sequela, non è tale. Il problema è il complemento che fa da oggetto al verbo. Mai Gesù, anche quando già un piccolo gruppo si è costituito, chiama a sé nuovi discepoli usando il «noi». La sequela cristiana non consiste nell’aggregarsi ad un gruppo, ma nel mettersi sulla strada di Cristo, lungo la quale incontro altri fratelli che la percorrono con me e per il mio stesso motivo. Il motivo di coesione del «noi» è il «me» che troviamo in ogni racconto di chiamata: «Seguimi». La nuova comunità radunata dal Cristo non è un ente autonomo o il frutto di una concertazione democratica: solo Cristo e la sua presenza giustifica il cammino dei Dodici. Dunque, il «noi» non può essere protagonista assoluto. Gesù capovolge la prospettiva, allarga i confini, sbriciola la categoria blindata del discepolo appartenente ad una sorta di setta. Se lui è il riferimento assoluto, allora chi scaccia demoni nel suo nome non può essergli contro né, dunque, contro il suo gruppo.