Fare i conti con la fragilità che ci costituisce. Un testo prezioso di Luciano Manicardi

Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana

Foto: il priore di Bose, Luciano Manircardi 

 

Quando Luciano Manicardi nel gennaio del 2017 è stato scelto dalla comunità come priore, ho subito pensato che gli sarebbe rimasto poco tempo per scrivere e pubblicare testi. Così è stato, anche perché la comunità di Bose che presiede, composta da una novantina di fratelli e sorelle che vivono attorno alla cascina originaria della frazione di Magnano posta poco oltre il crinale della serra morenica, ma anche ad Assisi, a San Gimignano, ad Ostuni e a Civitella San Paolo, alle porte di Roma, chiede tempo e cura. E Luciano Manicardi, che conosco da trentanni, è un uomo che ha sempre creduto nel valore della cura e delle relazioni. Avendolo ascoltato molte volte, rimango ogni volta colpito dalla sua capacità di intrecciare il dato biblico (che ben padroneggia) con i suoi studi di psicologia e di antropologia e con le molte letture che, almeno fino a quel famoso gennaio, custodiva e alimentava con regolarità e passione. Per questo ogni qualvolta esce un suo testo cerco di leggerlo. Così è stato per Spiritualità e politica” (Edizioni Qiqajon, 2019) e ora per questo prezioso libretto da poco dato alle stampe, Fragilità” (edizioni Qiqajon, 10 euro, e-book 6,99). Un testo pubblicato nei giorni della pandemia anche se a tema non vi è il coronavirus. Eppure un testo utilissimo per decifrare con lucidità questo tempo e le sfide del nuovo inizio” a cui saremo – come persone e come civiltà –  inevitabilmente chiamati a vivere. 

Hai scritto un testo sulla fragilità dove già nelle prime pagine si viene invitati a diffidare dalla retorica o dallesaltazione della fragilità. Eppure molta tradizione cristiana si è poggiata a lungo su questo 

Mai come oggi, in questi tempi di pandemia, possiamo cogliere la dimensione onnipervasiva della fragilità. Semplicemente, essa è costitutiva della condizione umana e abita ogni realizzazione umana, abita la natura come la cultura, riguarda la salute come le condizioni economiche, il lavoro e le imprese, le relazioni interpersonali, sociali e politiche, riguarda la natura e la cultura. Tutto può spezzarsi, a seguito di un lungo processo di erosione, oppure improvvisamente, come lepidemia di coronavirus ci mostra. Al tempo stesso, non mi pare sensato scrivere elogi della fragilità proprio perché essa è una realtà di fatto, è già lì, mentre è la fortezza, la fortitudo, una virtù che va costruita giorno dopo giorno. E va costruita proprio partendo dallassunzione della fragilità. 

La fragilità ci riguarda, ne siamo impastati. Eppure oggi, anche a livello personale, è difficile fare i conti con essa. 

Noi tendiamo a rimuoverla e a dimenticarla anzitutto per motivi culturali, in quanto la fragilità contraddice limmagine di forza, potenza, successo, infrangibilità” che deve contraddistinguere una vita umanamente riuscita secondi i parametri mondani correnti. Ma anche psicologicamente la fragilità è temuta e spesso rimossa perché il toccarla, il prenderne atto, produce una sofferenza troppo grande e costituisce una ferita narcisistica. Il prendere atto della concreta fragilità che ci abita ci costringe a rinunciare ai sogni di onnipotenza in cui spesso prolunghiamo il nostro narcisismo infantile. E appunto, una delle lezioni che lepidemia ci sta insegnando è quella della nostra non-onnipotenza.Ci sta insegnando la lezione dellimponderabile, dellimprevedibile e dunque ci invita allumiltà della conoscenza. Una conoscenza adeguata deve mettere in conto limprevedibile. Per dirla con Edgar Morin, maestro del pensiero della complessità ampiamente ripreso nella Laudato si’ di papa Francesco, la conoscenza è una navigazione in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze. 

Tu scrivi che la fragilità resta il luogo di giudizio della nostra pratica di umanità.  È un appello, una domanda, che mette in gioco la cura e la  responsabilità. Tu sostieni lurgenza di un’“etica della fragilità”. Che dovrebbe strutturarsi in che modo? 

Letica della fragilità si radica nellempatia. In quel movimento di immedesimazione e rispecchiamento che ci porta a sentire come nostra la sofferenza o la fragilità dellaltro. Gli atteggiamenti richiesti da unetica della fragilità sono poi almeno questi due: da un lato, il riconoscimento della fragilità che ci abita che ci consente di accogliere anchela fragilità che abita negli altri;dallaltrola cura delle persone ferite dalle fratture che la fragilità provoca. Questo il potenziale umanizzante insito nella fragilità. 

Fai un esempio.. 

Di fronte allo straniero, al migrante che, fuggendo da storie di sofferenza e disumanità, di povertà e di guerra, giunge nelle nostre terre ignorandone cultura, lingua, usi, ed essendo diverso per costumi e religione, o si entra in un dinamismo virtuoso di empatia per cui sento” che la sua stranierità, con le fragilità connesse, è anche la mia e abita in me, e allora non sono spinto a odiare in lui ciò che vedo in me, o altrimenti il rischio è che la fragilità dellaltro non dia origine a nessuna risposta etica ma a risposte sadiche, violente, disumane. 

Lo sguardo è decisivo. Il rischio delluomo di sempre è di togliere il volto, di cancellare lunicità. Se questo accade, e lo abbiamo visto spesso negli ultimi tempi, a prevalere è il disprezzo, lodio. 

Uno sguardo umano ed etico sulla fragilità coglie la precarietà e anche la preziosità del volto segnato dal male, del corpo ferito, della storia spezzata e se ne sente interpellato e chiamato in causa. Chi guarda umanamente la fragilità scopre che la fragilità lo riguarda. Lodio, invece, non vede il volto, ma una massa indistinta, così che riesce a odiare gli immigrati, i musulmani, gli ebrei, e così via: non esiste più lindividualità dellaltro, non esiste più il suo volto, vera icona del trascendente nel mondo. Il volto, infatti, è luogo essenziale di cristallizzazione dellidentità. Il volto è epifania dellumanità delluomo, della sua unicità irriducibile, e questa preziosità del volto è simultanea alla sua vulnerabilità. La pelle del volto è quella che resta più nuda, più spoglia. E gli occhi, specchio dellanima, ne sono la parte ancora più indifesa, più fragile, che invita, per la sua stessa fragilità ed esposizione alle ingiurie esterne, ad averne rispetto e cura. 

Insieme però dici che della  fragilità si può fare buon uso. Ciò che conferisce alla fragilità non sono i suoi limiti ma il posto che i suoi limiti lasciano alluomo per amare. È lo spazio della libertà. Che non è automatico o spontaneo. Come educarsi a questo? 

Unespressione di Cicerone rappresenta bene un uso sapiente della fragilità. Nel suo trattato sullamicizia, Cicerone scrive: Poiché le cose umane sono fragili e caduche dobbiamo sempre cercare qualcuno da amare e da cui essere amati. Tolti infatti laffetto e la benevolenza, ogni gioia è sottratta alla vita. La fragilità è lo spazio, lambito al cui interno avviene la costruzione della nostra umanità. Così come la fragilità delle cose umane è stata lambito allinterno del quale Gesù ha costruito la sua umanità e la sua pratica dellamore, giungendo perfino ad amare il nemico. Questo spazio è quello della libertà e anche della responsabilità. Educarsi a questo è educarsi a quelletica della cura che comporta lassunzione della compassione come criterio di giudizio sulla realtà: nella compassione vi è infatti il giudizio di gravità (vedo la situazione di debolezza, di sofferenza grave di una persona e non ne resto indifferente), vi è il giudizio di non colpa (laltro è vittima, non colpevole), vi è il giudizio eudaimonistico (laltro e il suo bene è un fine decisivo per la mia realizzazione umana). 

Nella fragilità si cerca di custodire le cose essenziali. Anche per la comunità cristiana è lo stesso. Cosa è bene – per i cristiani – custodire gelosamente in questo tempo? Nellultimo capitolo parli di grazia della fragilità”. Cosa intendi? Qual è stato lo sguardo di Gesù sulla fragilità? 

Dicendo grazia” intendo che il riconoscimento umile e realistico della concreta situazione di fragilità propria e altrui, conduce a fare di questa debolezza un elemento spiritualmente ricchissimo, potentemente umanizzante. La fragilità diviene creatrice di legami, agisce come ponte che istituisce rapporti tra diversi. Per quanto indesiderabile, la fragilità può divenire capace di mobilitare una società e di creare rapporti di solidarietà e dar vita a istituzioni che si prendono cura dei più bisognosi. Anche nella crisi del coronavirus abbiamo visto fiorire il sentimento di solidarietà che si esprime sia in manifestazioni gratuite, sia in generosità e dedizione e aiuto verso chi è più bisognoso. Ovviamente, il problema non è la fragilità in sé, ma ciò che se ne fa, il rapporto che istituiamo con essa, e allora, se riconosciuta e accettata, diventa fondamento di un agire etico. La fragilità è lo spazio in cui lo spirito umano può manifestarsi come resiliente, creativo, geniale. Certo, occorre uno sguardo che, invece di perdersi in complottismi e dietrologie, cioè cercando, come sempre nelle soluzioni di tipo moralistico, un colpevole, veda le vittime e si prenda cura di esse. Come ha fatto Gesù. Il cui sguardo non si è mai posato anzitutto sul peccato o sulla colpa delluomo, ma sulla sua sofferenza. E da lì è nata la sua azione di cura e di responsabilità per lumano.