Gilet gialli e il futuro del clima

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Le parole di Greta Thunberg, 16 anni, e di Alexandria Ocasio-Cortez, 29, hanno segnato con chiarezza nell’ultima settimana quale sia la direzione che devono prendere politica e società civile per stare al passo con il futuro. Entrambe queste due ragazze – una giovanissima studentessa svedese e una giovane parlamentare statunitense astro nascente del Partito Democratico -, tracciano la rotta per quello che sarà il fronte più progressista della società in Europa e nel mondo, in netta opposizione ad un fronte decisamente conservatore ancorato su vecchie logiche e vecchi schemi.
Se, da una parte, queste due ragazze si fanno portatrici del sentimento di una generazione, la loro in parte nostra, che già oggi possiamo dire con assoluta certezza destinata a pagare il conto e soffrire i cambiamenti climatici, dall’altra stride in Francia la protesta dei gilet gialli iniziata ormai 14 settimane fa. Micce che avevano fatto scattare la sollevazione: l’aumento del costo del carburante e le annunciate misure per la riconversione energetica volute dal presidente Macron.
Analizzare in dettaglio la composizione della protesta non è una cosa agevole, dal momento che essa è mutata e cambiata nel corso delle settimane. Non ci dobbiamo, tuttavia, far distrarre dalle sfumature. Già dall’inizio la protesta appariva espressione di una fetta di popolazione disinformata, periferica, lasciata ai margini della società sia dalla sinistra che dalla destra. Questa parte della popolazione è stata blandita per anni dalle frange più estreme degli schieramenti politici, con l’assenso o perfino il finanziamento da parte di Stati esterni all’area UE, è sta venendo ora manipolata e utilizzata per disegni più ampi di destabilizzazione dell’ordine generale. Gli ultimi toni antisemiti non sono che il fondo di un’esasperazione – e di un atavico bisogno di identificare se stessi come un popolo unito contro ad un nemico, meglio se pretestuoso, pacifico e indifeso – sapientemente fatta emergere da precise campagne di diseducazione portate avanti da più parti nell’ultimo decennio.
Eppure oggi non ci sono diritti civili per nessuno senza una precisa e radicale lotta contro i cambiamenti climatici. Non potremo difendere nessun diritto del singolo, se prima non verranno difesi i diritti dell’umanità nel suo complesso. Oggi più che mai occorre dunque una vasta è profonda campagna di rieducazione popolare per la difesa del bene comune, a cominciare dal clima, che abbiamo il compito di ripensare il rapporto tra i diritti e le aspettative dei singoli – e delle singole lobby di interesse incardinate attorno ad un tema – e diritti della collettività. Se la transizione energetica non può essere pagata da alcune fasce soltanto della popolazione, non dobbiamo tuttavia permettere che queste minaccino il disegno complessivo per difendere il loro interesse settoriale.
Per questo obiettivo già oggi possiamo partire dall’esistente. Siamo davvero disposti a farlo?

Matteo Bracciali

Gabriele Suffia