Giovanni Paolo II e la piena riconciliazione con le Acli

Saluto tutti voi, membri delle Associazioni cristiane lavoratori italiani; saluto, in particolare, il presidente, dottor Giovanni Bianchi, che ringrazio per le parole di presentazione di questo importante incontro, e i delegati congressuali, i quali hanno animato i lavori di questi giorni. Sono lieto di accogliervi e di conoscere la vostra determinazione di camminare con coraggio cristiano nel mondo del lavoro e all’interno della società civile. La decisione di chiamare ‘cristiane’ le vostre associazioni è stata una chiara affermazione che la vita dei credenti in Cristo non riguarda soltanto le scelte personali dei soci, ma investe il modo di pensare e di agire di tutto il movimento”. 

È l’incipit del breve, denso discorso pronunciato da Giovanni Paolo II il 7 dicembre del 1991 nell’udienza concessa ai dirigenti e ai delegati aclisti convenuti a Roma per il XVIII Congresso Nazionale (4-8 dicembre 1991)Un’udienza ufficiale e “importante”, come da testuale riconoscimento del Pontefice, che si svolge nell’ampia Sala Nervi. 

Da cristiani nella società. Sviluppare la solidarietà, riformare le istituzioni nell’Europa dei cittadini” è il titolo del Congresso che, tra l’altro,  conto del percorso di ricerca e di fede, ormai pienamente riconosciuto e inserito nella comunità ecclesiale, sul quale le ACLI, dal 1976, sono state indirizzate dalla guida discreta e autorevole del nuovo assistente spirituale nazionale padre Pio Parisi.  

Un altro passaggio del discorso di Giovanni Paolo II è, al riguardo, indicativo: “Certamente un movimento è cristiano perché ispira le sue scelte sociali, economiche, sindacali e politiche al Vangelo e alla dottrina sociale della Chiesa, ma lo è pure perché, come movimento, intende formare la mentalità e educare la vita spirituale dei soci, affinché trovino in Cristo la guida sicura per affrontare, con la competenza propria dei vari settori temporali, i problemi della vita moderna. La formazione cristiana deve costituire, così, l’obiettivo prioritario di tutto il movimento e deve trovare il suo logico collegamento con le strutture ecclesiali della pastorale sociale e del lavoro. Nello sforzo di essere un autentico movimento cristiano avete davanti a voi numerosi e gravi problemi, che richiedono vaste competenze, fede salda, amore generoso a ogni uomo, ma soprattutto a quello più debole. 

Su questa memorabile udienza che, a vent’anni esatti dalla deplorazione di Paolo VI, rappresenta la piena ricomposizione delle ACLI con la comunità ecclesiale e un più maturo riconoscimento da parte della gerarchia, è di grande suggestione la ricostruzione e la riflessione dell’allora Presidente Nazionale Giovanni Bianchi: 

Il problema era: riaccreditarci nella comunità ecclesiale tenendo evidente il nostro profilo, facendo il nostro mestiere, anche politico, senza strappare le pagine della nostra storia recente, Vallombrosa compresa.  
Ha funzionato anche se avevo non poche preoccupazioni alla vigilia dell’incontro di Sala Nervi. In una pausa del ritiro spirituale al Celio in preparazione dell’incontro, mons. Salvatore Boccaccio, allora membro influente del vertice della [dt_tooltip title=”Cei”]La Conferenza Episcopale Italiana (CEI) è l’assemblea permanente dei vescovi italiani.[/dt_tooltip], mi prese in disparte per comunicarmi che in Vaticano si stava valutando l’ipotesi che durante l’udienza fossero al mio fianco, in segno di unità ritrovata, i dirigenti degli scissionisti degli anni Settanta, [dt_tooltip title=”MCL”]Il MCL (Movimento Cristiano dei Lavoratori) nasce l’8 dicembre 1972, data dell’assemblea di riunificazione tra le due componenti che avevano abbandonato le ACLI, per non aver condiviso le motivazioni, le prospettive e soprattutto i risvolti sul piano ecclesiale e sociale, collegati alla “svolta socialista” di inizio anni ‘70.[/dt_tooltip] soprattutto. Ero in un’atmosfera di meditazione e preghiera, eppure la risposta riuscì sufficientemente chiara e sgarbata: ‘In questo caso dì al Papa che sono io a non dargli udienza! Non ero né impazzito né montato in superbia: mi rendevo conto che era necessario stroncare sul nascere ogni manovra troppo curiale ordita all’ombra del Papa.  

Andò tutto bene, anzi benissimo. Il testo del mio discorso non fu modificato Oltretevere di una sola virgola. Ed in esso rivendicavo con orgoglio tutta la storia delle ACLI come percorso difficile e accidentato ma provvidenziale. Mentre leggevo, evitavo di guardare la prima fila dell’assemblea dove tosti dirigenti s’erano messi a piangere come vitelli. Alla fine, secondo le istruzioni di monsignor Giampaolo Crepaldi, dovevo accostarmi al trono per consegnare al Santo Padre il testo del discorso. Ma Wojtyla, con uno dei suoi slanci che beffavano il protocollo e andavano diritti al cuore della gente, buttò il testo e mi abbracciò. Più di cento omelie quel gesto voltò definitivamente una pagina. Vera apoteosi aclista. Si poteva pensare che il vecchio padre avesse aspettato a lungo il figliol prodigo. Ma si poteva anche pensare che le ACLI, come un campione medievale finito lungo la strada nelle prove approntate dalla durezza dei tempi, avessero finalmente raggiunto la meta meritata”(in Giovanni Bianchi, Storia e attualità delle ACLI , Eremo Edizioni2017). 

A cura dell’Archivio Storico Acli Nazionali [dt_vc_list style=”2″]

  1. Discorso di Giovanni Paolo II ai componenti delle ACLI – Roma, 7 dicembre 1991
  2. Lavorare con il Vangelo. Le Acli in Vaticano; Giuseppe Cionti, in Azione Sociale n.18, 15 dicembre 1991 
  3. Le Acli ripartono dall’unità; Guglielmo Nardocci, Famiglia Cristiana n.50/1991, in Rassegna Stampa Presidenza Nazionale Acli del 13 dicembre 1991 

[/dt_vc_list][vc_media_grid element_width=”2″ gap=”2″ grid_id=”vc_gid:1594136953325-d8f9ba49-bad3-1″ include=”52026,52027,52028,52029,52030,52031″]