I Domenica di Quaresima

Domenica – 5 marzo 2017 – Anno A

Parola del giorno: Gn 2,7-9; 3,1-7; Sal 50; Rm 5,12-19; Mt 4,1-11

 

DAL VANGELO SECONDO MATTEO  (4,1-11)

 

Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane”. Ma egli rispose: “Sta scritto:

 

Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio “.

 

Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

 

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra “.

 

Gesù gli rispose: “Sta scritto anche:

 

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo “.

 

Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. Allora Gesù gli rispose: “Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

 

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto “.

 

Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

 

COMMENTO AL VANGELO

a cura di don Marco Cagol, accompagnatore spirituale Acli Padova

 

Sappiamo che il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto, che ci accompagna ogni prima domenica di Quaresima, viene subito dopo il racconto del battesimo nel fiume Giordano, momento nel quale Gesù, nella sua umanità, vede lo Spirito scendere su di sé e prende nella sua coscienza umana chiara visione della sua missione verso gli uomini.

 

Dallo Spirito, dice il Vangelo, «Gesù fu condotto nel deserto, per essere tentato dal diavolo». Suona strana, questa frase, di primo acchitto: ci appare quasi come un proposito non “simpatico”, come se qualcuno (il Padre? Lo Spirito?) volesse sottoporre Gesù alla tentazione. In realtà è un po’ così: il dono di Dio all’umanità è proprio questo: farsi uomo fino in fondo, fino a condividere con gli uomini la tentazione di quello spirito del male che misteriosamente si è insinuato nella vicenda umana. 

 

Gesù viene condotto nel deserto, per essere immerso del tutto nella condizione dell’umanità sofferente, tentata, affaticata dal male, sottoposta al dramma della morte.

In questo frangente della vita di Gesù cogliamo tutta la straordinarietà del dono di Dio, rivelato nella fede cristiana: Dio che si fa uomo fino in fondo, che scende negli “inferi” dell’umanità, per risollevare ogni uomo e donna dalla sua condizione ambivalente, e condurlo alla piena comunione con Dio. 

 

Gesù infatti mostra all’uomo che è possibile non soccombere alla tentazione; l’uomo non deve sentirsi irrimediabilmente condannato al male, all’idolatria, alla violenza, all’egoismo. L’uomo non è “cattivo” per natura, come tanta parte del pensiero moderno vorrebbe far credere. Nell’uomo spira lo Spirito di Dio, l’alito di vita divina, che lo rende creatura redimibile. La tentazione e la morte con cui fa i conti non sono la sua essenza, ma sono note che accidentalmente suonano stonate in una musica intonata, composta da Dio stesso.

 

Questo è un fattore di grande speranza, anche sociale: le regole della società non devono essere costruite a partire dal presupposto che bisogna contenere la cattiveria umana, ma piuttosto devono favorire l’emergere della bontà dell’uomo, e della sua capacità di affrancarsi dal male. La nostra civiltà è stata in parte plasmata da questa intuizione sull’uomo: pensiamo ad esempio alle norme che regolano le pene degli autori di reati: la Costituzione scrive che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». 

 

Dietro a questa norma di altissima civiltà, c’è una visione dell’uomo che prende le mosse anche dalla visione evangelica: l’uomo è chiamato alla redenzione, Dio lo prende dagli abissi del suo male in cui è caduto per disgrazia, e lo risolleva: è sempre possibile per l’uomo risollevarsi, anche con l’aiuto degli altri uomini, della società, delle istituzioni.

E ciò che brilla in questa norma costituzionale, dovrebbe ispirare ogni realtà sociale: ma sono molte gli ambiti dove avviene esattamente il contrario: pensiamo ad esempio al mondo della comunicazione odierna. Lì le persone vengono umiliate, condannate frettolosamente, violate nella loro intimità, esposte al pubblico ludibrio ancora prima che si abbia la certezza di qualche colpa, morale o penale (cosa che non dovrebbe accadere neppure per un colpevole, perché il vero fare giustizia è un’altra cosa). 

 

È un’arena da dove si esce solo sbranati da una folla virtuale desiderosa di vedere solo la fine della persona accusata, e dove non c’è quasi nessuno spazio per la redenzione, per un’assunzione seria delle proprie responsabilità, per una ricucitura dello strappo inferto al corpo sociale dal reo, e tanto meno per il perdono, per una autentica vittoria sul male. 

 

Che idea di uomo sta dietro queste arene mediatiche? Che idea di giustizia? Cosa muove gli autori di tale scempio? Cosa introducono e alimentano nella coscienza collettiva? Quale speranza alimentano?

 

Contemplare la solidarietà di Gesù con l’umanità tentata, ci aiuta a contemplare l’uomo come essere salvabile e salvato, e ad agire di conseguenza.