Immigrati: tra fake news e dati di realtà

Il compito e la responsabilità dell’informazione 

 

Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana

Conoscere per comprendere. Questo è il titolo – scelto non a caso – del Rapporto immigrazione Caritas-Migrantes pubblicato nei giorni scorsi. Un rapporto da leggere e da far leggere. Anche solo per impedire la moltiplicazione di luoghi comuni che, nella realtà, spacciano menzogne e contribuiscono ad alimentare parole d’ordine di poca o nulla consistenza. Come, ad esempio, quelle relative all’”invasione”. 

Leggendo il Rapporto ci si rende conto che, ad esempio, dal 2018 al 2019 i residenti stranieri sono aumentati soltanto di 47.000 unità, e i permessi di soggiorno di appena 2.500. Come se non bastasse, le nascite da cittadini stranieri (un dato – come sostiene Maurizio Ambrosini – difficile da smentire, o di cui sospettare una sottovalutazione) sono addirittura calate, da 68.000 nel 2017 a 63.000 nel 2019. 

Nel 2012 sfioravano quota 80.000. In entrambi i casi incidono le acquisizioni di cittadinanza, grazie alle quali i neo-italiani scompaiono dalle statistiche sugli immigrati, ma per sostenere la tesi dell’invasione ci vorrebbe ben altro. Ancora, i motivi del permesso di soggiorno sono da anni eminentemente familiari (quasi la metà del totale: 48,6%). Asilo e protezione internazionale concorrono per un modestissimo 5,7%, ponendo in luce quanto sia lontana dalla realtà l’equivalenza tra immigrati regolari e richiedenti asilo. Bisogna poi aggiungere che 1,5 milioni di cittadini comunitari non hanno bisogno di permessi, e di certo non chiedono asilo. 

Una presenza consolidata e diffusa 

In base alle ultime elaborazioni Istat, al 1° gennaio 2020 i cittadini stranieri presenti in Italia ammontano a 5.306.548 persone, con un’incidenza media sulla popolazione italiana dell’8,8%, di cui 1.207.919 rumeni. Invece, con riferimento ai permessi di soggiorno, sono risultati in corso di validità 3.438.707 permessi, il 61,2% dei quali è stato rilasciato nel Nord Italia, il 24,2% nel Centro, il 10,8% nel Sud e il 3,9% nelle Isole. I cinque Paesi di provenienza prevalenti fra i titolari di permesso di soggiorno sono, nell’ordine, Marocco (circa 400 mila cittadini), Albania (390 mila), Cina (289 mila), Ucraina (227 mila) e India. 

Attenzioni alle fake. La realtà è diversa 

Il Rapporto interviene poi su due questioni che hanno caratterizzato il dibattito politico degli ultimi mesi: il possibile legame tra l’emergenza coronavirus e l’arrivo di persone migranti e la modifica dei cosiddetti decreti sicurezza. Sul primo punto, 

“nessun allarme sanitario in Italia è legato alla presenza di immigrati sul territorio nazionale”. 

Secondo l’indagine, la prevalenza di casi positivi è analoga a quella della popolazione generale e con una distribuzione geografica dei casi che mostra un gradiente Nord-Sud conforme a quello osservato nel Paese. 

Per quanto riguarda i Decreti Sicurezza, “prendiamo inoltre atto, con – si legge – viva soddisfazione, del recente via libera (del 6 ottobre del 2020), del Consiglio dei Ministri al decreto legge contenente disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, contenente modifiche dei c.d. decreti sicurezza. Molte delle raccomandazioni contenute nel Rapporto hanno sottolineato l’importanza di favorire i percorsi di regolarità dei cittadini migranti in Italia, attraverso un ampio riconoscimento della convertibilità in motivi lavorativi del permesso di soggiorno detenuto ad altro titolo, al fine di invertire la tendenza all’approccio securitario da un lato, o assistenzialistico dall’altro, adottando definitivamente una strategia di potenziamento dei percorsi di integrazione”. 

Nel Rapporto si mette in risalto come “i cittadini stranieri siano fra le principali vittime di reati collegati a discriminazioni”. Si avverte dunque “la necessità di migliorare la normativa italiana in materia di reati legati alla discriminazione razziale e, con essa, le procedure di denuncia e quindi di riconoscimento della violazione, includendo anche i nuovi mezzi di comunicazione social come luoghi virtuali nei quali sempre più spesso si registrano episodi di intolleranza, anche rafforzando il ruolo delle istituzioni di polizia competenti, spesso prive di risorse e di strumenti sufficienti”.  

Infine la questione non risolta – anche e soprattutto per poca lungimiranza da parte della classe politica – dello Ius Soli. “Oggi il 64,4% degli alunni stranieri è nato in Italia, ma – si legge nel Rapporto – non ha la cittadinanza”. Caritas e Migrantes chiedono “di intervenire a modificare una vecchia legge, superando gli ostruzionismi politici, che legano i minori ad un fenomeno a sua volta ostaggio della politica”. 

Un pluriverso, anche religioso 

Tra i tanti dati, un altro è di grande interesse: la composizione religiosa dei cittadini stranieri residenti in Italia. Una narrativa menzognera ma continuamente rilanciata in modo strumentale, sostiene che in Italia siamo di fronte ad “un’orda islamica”. Peccato che i dati dicano cose molto diverse.   

Al 1° gennaio 2020 la maggioranza assoluta degli stranieri residenti in Italia risulta essere di religione cristiana (54,1%) 

che vuole dire quasi tre milioni di fedeli mentre i mussulmani sono poco più di un milione e mezzo. Fra gli immigrati cristiani la maggioranza assoluta è ortodossa (29,3%, pari a 1,6 milioni di fedeli, originari soprattutto di Romania, Ucraina e Moldova), mentre più di uno su tre è cattolico (20,1%, con quasi 1,1 milioni di persone, per lo più romeni, filippini, peruviani e albanesi). 

Un’ultima nota. Mi ha molto colpito che a parte Avvenire nessun quotidiano nazionale abbia rilanciato i dati e le analisi del Rapporto. Un’omissione che stride con il sensazionalismo con il quale solitamente vengono affrontate le vicende che riguardano gli immigrati, solitamente presentati sulle pagine dei giornali come protagonisti di cattive notizie e in riferimento ad episodi di cronaca fortemente sbilanciati sulla criminalità. Si tocca la pancia degli italiani. Sarebbe ora che – scrivendo – si parlasse anche alla testa. È così difficile?