Io do loro la vita eterna

La liturgia ci presenta, in pochi e densi versetti, Gesù come il buon pastore. La densità di questa figura a noi cittadini del 2016 forse dice poco, se non per aver sentito parlare dei pastori nei libri o nei film.

All’epoca invece era lavoro quotidiano, che tutti conoscevano bene, lavoro faticoso, che ti porta a seguire il gregge pascolo per pascolo, a trovare l’acqua per farlo bere, a difenderlo dagli animali predatori e dai ladri.

Molte pagine bibliche ci illustrano questo mestiere, che viene utilizzato come metafora per illustrare lo stile di governo che il re (Davide era pastore) e i capi della comunità (Ez 34) devono avere nei confronti del popolo che è loro affidato dal Signore. Qui ci vengono presentati alcune caratteristiche del pastore.

La prima riguarda la sua voce, quella che guida il gregge con i suoi richiami, i suoi ordini, le sue attenzioni. E’ una voce che viene riconosciuta dal gregge, che sa che da quella voce viene la vita.

Inoltre il pastore conosce le sue pecore. C’è una relazione vitale tra il pastore e le pecore, una relazione di reciproco scambio.

Il pastore dà la sua vita per le pecore e le pecore seguono il pastore perché hanno fiducia in lui, gli si affidano. La vita che il pastore dà è quella definitiva, quella che non viene meno, e nessuno potrà strappare le pecore dalla mano di chi le custodisce.

Il pastore è il più forte, perché è colui che le ama di più e quindi è disposto ad ogni cosa, fino a dare la propria vita, pur di far vivere e proteggere le sue pecore. Non è così del mercenario o del ladro, che alla prima avversità si tirano indietro e abbandonano il gregge.

L’immagine finisce e Giovanni ci fa partecipi del mistero di Gesù: «Io e il Padre siamo una cosa sola». Egli ci riporta questo come una confessione e una rivelazione da parte di Gesù.

Noi facciamo fatica a comprendere questo mistero: come si fa ad essere due persone diverse eppure una cosa sola? Noi lo diciamo di un marito e una moglie e, per analogia, possiamo dirlo di Dio. Ma nell’uno e nell’altro caso non ne comprendiamo bene il significato, se non nel fatto che la comunione delle volontà e delle libertà delle due persone si armonizzano e si completano a vicenda. È il senso della loro relazione che si manifesta nella storia che ci mostra la verità dell’affermazione.

In effetti noi parliamo di Dio solo per immagini umane, e in questo siamo facilitati dal fatto che crediamo che Gesù è Dio fatto uomo. E tuttavia dobbiamo credere che questo parlare, che si fa mistero, ci dice realmente qualcosa del Dio che si è fatto vicino a noi, fino a condividere realmente la nostra vicenda storica, donandoci la salvezza e la vita, quella vera.

In questo tempo di Pasqua meditiamo e contempliamo questo mistero di resurrezione e di salvezza, rendendolo vivo ed operante nella storia con i nostri fratelli e sorelle, per offrire a tutti la possibilità di incontrare l’Amore che dà la vita (1Gv 4,7-10).

17 aprile 2016 – IV Domenica di Pasqua – Anno C

Giovanni 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: 27 «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.29 Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola».

Leggi tutto nel documento allegato