Italia-Arabia Saudita. Giochiamo a calcio o alle armi?

Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana

 

“Datemi un aereo, ciascuno di voi un aereo, uno dei vostri aerei da bombardamento. Perché ho appreso che ciascuno di questi velivoli costa all’incirca cinque miliardi di franchi… E ho calcolato che col prezzo di due di questi aerei di morte, si potrebbero risanare tutti i lebbrosi del mondo. Un aereo in meno in ciascun paese, ciò non modificherà l’equilibrio delle vostre forze… Voi potreste dormire tranquilli. Ma io, io dormirei tranquillo. E dei milioni di povera gente dormirebbe finalmente…”
Cosi diceva nel lontano 1954 Raoul Follerau, il giornalista e poeta francese che si batteva contro la lebbra. Il suo rimase un appello inascoltato. E ancora di più lo sarebbe oggi visto che viviamo in un pianeta armato fino ai denti, come non succedeva dai tempi della Guerra fredda. Non solo Trump e Putin, Netanyahu e Xi Jinping ma anche molti satrapi africani e asiatici dal profilo marcatamente nazionalista. Un mercato florido in continua espansione che non conosce flessione e crisi.

Il Sipri, l’Istituto Internazionale per le ricerche sulla pace che ha sede a Stoccolma,  calcola che basterebbe meno della metà delle spese militari mondiali annuali per raggiungere la maggior parte degli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite per i quali le risorse economiche sono un requisito necessario. Con poco più del 10 per cento di quello che si spende in armi si potrebbe sconfiggere la povertà; con meno del 10 per centro si potrebbe garantire a tutti i bambini e a tutte le bambine del mondo un’istruzione gratuita e di qualità. Alla faccia dei proclami e delle dichiarazioni.

 

Una partita per sdoganare un Paese che non rispetta i diritti umani?

Per questo mi ha molto colpito la partita che la nazionale di calcio italiana ha recentemente disputato in Svizzera (perché in Svizzera?) contro l’Arabia Saudita. Qual è la ragione di questo incontro? Non certo per il valore della squadra saudita, al settantesimo posto nel ranking della Fifa. Una squadra mediocre, certo non attendibile per qualsiasi tipo di test di carattere calcistico. Dunque, una decisione che non ha a che fare con il mondo del calcio e men che meno con la riscossa della nostra nazionale dopo la mancata qualificazione ai Mondiali.  Riccardo Noury portavoce di Amnesty International Italia non ha dubbi in proposito:

La partita è servita per cementare i già ottimi rapporti con un Paese a cui forniamo bombe per colpire in Yemen, in cui i blogger vengono frustati, gli attivisti imprigionati e ogni due giorni un condannato a morte viene decapitato, che c’è di meglio di una partita di calcio?” Quindi una partita per “sdoganare”. agli occhi dell’opinione pubblica in cui il calcio (e gli Azzurri) “sono un patrimonio nazional-popolare, i regnanti sauditi a cominciare dal principe ereditario Mohammed bin Salman con il quale la ministra Pinotti – ma ovvio non solo lei  – si è tanto prodigata per promuovere “new naval deals” in campo militare, cioè affari per navi da guerra?” (Gianni Beretta).

 

Business is business

Certo, nel business delle armi noi italiani siamo “ecumenici”: vendiamo a tutti, senza andare troppo per il sottile. Vale la pena leggere la ricerca dell’istituto Demoskopika, dal titolo Italian Terrorism Infiltration Index 2018.  La ricerca  rivela che “ogni 100 euro incassati dalle nostre imprese per la vendita e la fornitura di armamenti, circa 50 provengono dai paesi battenti bandiera islamica. E la Relazione Governativa sull’export armato pubblicata sul sito del Senato l’11 maggio scorso conferma questo trend. Degli oltre 9,5 miliardi di euro di autorizzazioni rilasciate dal governo Gentiloni nel 2017, poco meno della metà ha avuto come destinatario il Qatar (4,2 miliardi, per 7 corvette militari commissionate a Fincantieri). Ma in classifica ci sono anche la Turchia (266 milioni), il Pakistan (174 milioni), l’Oman (69 milioni), l’Iraq (55 milioni), l’Arabia Saudita (52 milioni), gli Emirati Arabi Uniti (29 milioni) e la Giordania (14 milioni).

La prudenza c’entra poco con il Vangelo. Parola di don Tonino Bello

“Chi ama la pace, ha il coraggio di tirare fino in fondo le conseguenze di certe verità. Non ha paura di dire come stanno le cose, anche quando le sue parole rovinano la digestione dei potenti. Non ammorbidisce la profezia con i trucchi diplomatici, pur di non recare dispiacere a qualcuno. Mette il dito sulla piaga dell’ingiustizia, senza spaventarsi delle ritorsioni. Non si tira indietro se deve dire che la logica delle crescenti spese militari cozza contro quella del Vangelo. Non avalla con i suoi complici silenzi lo sterminio per fame di popoli interi. Non si copre dietro gli scudi della prudenza per coprire la follia degli scudi stellari. Non teme il rischio dell’impopolarità se denuncia fino alla noia le tragiche aritmetiche della miseria, dei debiti del terzo mondo, della confusa dei diritti umani, della corsa assurda al riarmo atomico che sta preparando l’olocausto planetario. E fa tutto questo non per calcolo politico ma perché sa che ogni uomo, di qualunque colore e appartenenza, porta con sé un frammento di Dio.”