La brexit degli italiani a Londra

Il 23 Giugno 2016 è la data in cui si è svolto il Referendum consultivo sulla Brexit, rimanere o lasciare l’Unione Europea.

Dopo tre anni, rinvii e due premier, la Gran Bretagna sta vivendo una ulteriore fase di fortissima tensione politica a due mesi dal termine fissato per l’uscita dall’Unione: Boris Johnson ha chiuso il Parlamento con lo strumento “Prorogation” che risulta essere una proroga della chiusura estiva dei lavori delle Camere fra una sessione e l’altra con lo scopo di arrivare all’uscita dell’UE senza il rischio di risoluzioni parlamentari contrarie.

Numerose sono state le polemiche sia all’interno della popolazione che all’interno dell’Istituzione: i laburisti con il loro leader Jeremy Corbyn parlano di “attacco alla democrazia” e “oltraggio alla costituzione”, la leader scozzese, Ruth Davidson, ha presentato le proprie dimissioni e l’opinione pubblica si è mobilitata attraverso manifestazioni in tutta la Gran Bretagna specialmente nella città di Londra, simbolo di un Inghilterra con lo sguardo rivolto verso il mondo. Davanti a Westminster, il giorno dopo l’annuncio di Boris Johnson, migliaia di cittadini si sono riuniti per protestare contro la decisione del Primo Ministro mentre una petizione online contraria al “no deal” ha raccolto in un solo giorno più di 500mila firme.

Anche il mondo ecclesiale si è espresso. Un gruppo di 25 Vescovi della Chiesa di Inghilterra hanno scritto una lettera aperta in cui esprimono “particolare preoccupazione” per una Brexit senza accordi con l’UE.

Boris Johnson non si è lasciato intimorire e ha confermato: “Lasceremo l’Unione Europea il 31 ottobre, investiremo sulla sanità e combatteremo il crimine nel nostro Paese”.

Si chiede una maggiore sicurezza per i propri figli, e se i nostri figli invece di sentirsi solamente cittadini inglesi oppure italiani si volessero sentire cittadini del mondo?

Tra il susseguirsi di numerosi fatti istituzionali, come l’espulsione dei deputati conservatori che hanno votato insieme all’opposizione per il rinvio della Brexit al 31 dicembre, grazie ad alcune campagne informative svolte da svariate associazioni autoctone e non, l’aria che si respira all’interno del Paese sta cambiando.

Parte degli inglesi che precedentemente hanno votato Brexit commentano cosi le ultime vicissitudini: “Quando abbiamo votato al referendum quasi tre anni fa, non avevamo idea di molte implicazioni della Brexit, per non parlare di come sarebbe potuto essere l’accordo finale”.

Per quanto riguarda i nostri connazionali in UK la situazione Brexit scatena sentimenti ed emozioni contrastanti: paura, rabbia e incertezza.

Da mesi, al nostro Patronato Acli di Londra, bussano tantissimi italiani in cerca di risposte.

Durante questo periodo, che si estenderà almeno fino al 31 di ottobre, la confusione che si è creata ha toccato tutti: dal giovane appena arrivato al dottorando, dall’uomo in carriera fino ad arrivare agli anziani.

I giovani sono quelli più in confusione, ovvero si pongono la domanda: è più conveniente restare o tornare in patria?

Alcuni di loro hanno ricevuto proposte dall’Italia e la tentazione di tornare è tanta. Se la Brexit si portasse via queste energie, per la Gran Bretagna non sarebbe un buon affare.

 

Roberta Dallera
Volontaria del SCU presso il Patronato ACLI di Londra

Matteo Bracciali
Vicepresidente della federazione delle ACLI internazionali