“La mia stanza al quinto piano” di Emanuele Calabrese

Ho preso questo appartamento l’ultimo anno di triennale e da allora non l’ho più lasciato. Amo questa zona perché è un confine tra due pezzi di città, anche se sono originario di un paese dell’entroterra, Vitulano. L’appartamento si trova al quinto piano del palazzo e  su via Foria sempre intasata e rumorosa
Prima del lockdown avevo vissuto una mini quarantena tra febbraio e marzo in cui mi chiusi volontariamente in me stesso, nella mia stanza a meditare sulla mia vita. 
Le tante cose che facevo e che non volevo fare; il senso di smarrimento dovuto alla precarietà, ma anche alla poca fiducia in me e negli altri. 
La domenica precedente all’annuncio di Conte era una domenica grigia. L’Italia era scossa dal Corona Virus, il mondo guardava attonito a ciò che stava succedendo nel cuore del Mediterraneo, si interrogava su chi saremmstati e dove saremmo andati da qui ad una settimana. 
Il Corona Virus si era manifestato alle nostre orecchie già da dicembre, durante il periodo natalizio, ma nessuno ci aveva fatto troppo caso, un  perche è troppo lontana la Cina, un po’ perché era Natale ed eravamo pieni dei pranzi e delle cene di questo periodo
Quella domenica mattina, come tutte le domeniche passate a Vitulano andai in chiesa, senza particolare voglia, si scherzava sui posti, sulle distanze che tra l’altro nessuno sembrava rispettare. 
Il parroco, nell’omelia, ricordò i versi della poesia di Ungaretti “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” per indicare la fragilità delle nostre vite; al momento della pace facemmo una serie di gesti strani per evitare il contatto delle mani. 
Il giorno dopo decisi di tornare a NapoliArrivai a Napoli prima di pranzo, sembrava che nulla fosse cambiato, non si avvertiva ancora la gravità della situazione
Verso sera i programmi furono interrotti dalla comunicazione del Presidente Conte, il quale ci comunicava l’estensione della zona arancione a tutta la nazione. 
Ascoltando le parole che la televisione trasmetteva, sentivo il bisogno di uscire, di guardarmi intorno. Decisi di scendere insieme ai miei coinquilini, arrivammo sotto i portici della Galleria Principe di Napoli
In strada non c’era nessuno, la sensazione, respirando quest’aria tesa, ascoltando il silenzio surreale di una Napoli caotica e vivace che parla, suona, canta giorno e notte, era che il momento che stavamo vivendo fosse storico. 
Alla fine dei portici c’è un ristorante vegano da fuori mi ha sempre incuriosito, c’era il padrone che stava chiudendo perché non c’erano clienti. 
Ci fermammo a parlare un po’ con lui. Mi colpì molto, era spaesato come tutti noi. Chiudeva non sapendo cosa altro fare. Presi dall’incertezza sul domani ci fermammo nell’unico supermercato aperto la sera in zona. Era tutto calmo, nessun assalto. I dipendenti credo non sapessero ancora cosa fosse successo. 
Il giorno dopo mi svegliai abbastanza presto. Gli unici due rumori erano un elicottero e un’auto dei vigili urbani con un megafono che faceva passare il messaggio: «per la vostra sicurezza, state a casa». C’era la solita panchina sulla strada, ma era vuota.
Non uscidi casa per diversi giorni. Una sera decisi di scendere per buttare la spazzaturaIncuriosito dalla situazione, mi affacciai su via Duomo. L’insegna di un piccolo negozio di scarpe si accendeva e si spegneva; sembrava una scena tipica dei film horror quando sai che sta per succedere qualcosa di brutto. Tutto intorno era vuoto, buio, silenziosoqualche cane qua e là che si riappropriava dei propri spazi.
Mentre scrivo, a Fase 2 inoltrata, quel silenzio sembra già un vago ricordo. A Vitulano siamo abituati ai tanti silenzi nei vicoli dei casali abbandonati da tempo e resterà anche dopo, forse per sempre. 
Tuttavia a Napoli no, si sente sempre il rumore della vita che scorre, anche se permane un lockdown storico, dovuto ad un progressivo abbandono del nostro sud che non si è attenuato, anzi sembra peggiorare sebbene, appunto, siamo già nella Fase 2.