La pandemia e la nuova organizzazione territoriale

Proseguono le riflessioni e intorno allo smart report curato da Gianluca Budano e David Recchia, in occasione della 70esima Giornata Mondiale della Salute, una ricerca inedita di analisi sugli effetti della pandemia Covid-19 sulle politiche italiane della salute e di welfare.

Dopo l’intervista al Presidente nazionale Anffas, Roberto Speziale, il contributo del ricercatore Valentino Santoni di Secondo Welfare, l’articolo di Ubaldo Pagano e l’approfondimento del Prof. Vincenzo Frusciante, vi proponiamo una riflessione di Paolo Siani, pediatra e parlamentare

 

 

La pandemia e la nuova organizzazione territoriale

 

Non sarà facile riprendere la nostra vita normale. Il Covid-19 ha stravolto le nostre esistenze e sta cambiando i nostri rapporti sociali.

Bisogna utilizzare questa epidemia però per realizzare servizi che saranno utili anche in futuro. Durante le emergenze, infatti, si riescono a realizzare in fretta progetti che in periodi normali richiederebbero mesi.

Il Covid-19 ha messo in evidenza i nodi e le criticità del nostro SSN che negli ultimi 10 anni ha subito una grave riduzione dei posti letto ospedalieri, senza nessun incremento dei servizi territoriali.

 

Questa pandemia ci ha insegnato che dal punto di vista sanitario è necessario riorganizzare la medicina territoriale e le strutture sociosanitarie.

La crisi ospedaliera è strettamente correlata con il depauperamento dei servizi territoriali.

Le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), che il Governo ha definito con il decreto del 10 marzo e che dovrebbero partire al più presto, dovranno consentire di individuare i sintomi precoci di questa malattia, prima ancora che il tampone diventi positivo, e consentire la cura domiciliare.

Nello stesso tempo, si effettuerà la mappatura dei pazienti, asintomatici o paucisintomatici, e di tutti i familiari dei casi conclamati, la qual cosa è indispensabile per non incorrere in un circolo vizioso, con ondate di ritorno dei contagi appena finirà il “lockdown”.

Queste strutture, potrebbero rappresentare un nuovo modello di medicina territoriale anche in seguito, dopo l’epidemia Covid-19, in cui potrebbero lavorare più medici insieme (medico di medicina generale e pediatra di libera scelta), con infermieri , in grado di poter effettuare anche alcuni esami diagnostici e in stretto collegamento con gli ospedali di riferimento, nonché dotati di tutti gli strumenti per seguire i propri pazienti con le videochiamate,  per non tornare agli affollamenti dei Pronto Soccorso per codici di bassa complessità.

E inoltre l’equipe dovrebbe essere arricchita anche da psicologi e assistenti sociali per attuare programmi di prevenzione, oltre che di cura, e per mettere ordine nell’assistenza sociosanitaria.

Si potrà affidare a questo nuovo servizio la prima visita domiciliare al neonato e alla mamma per esempio, che potrà individuare molto precocemente i bisogni sanitari e sociali di quella famiglia e intervenire prima che il danno si sia instaurato.

 

Sarà difficile immaginare ancora un medico da solo nel suo studio.

Questa nuova organizzazione del territorio consentirà agli ospedali di potersi dedicare ai pazienti complessi e ad alta intensità di cura, mettendo fine al fenomeno delle “barelle” e riducendo fortemente la migrazione verso le regioni del nord. Migrazione che non è possibile per la medicina d’urgenza, quella va assicurata nel proprio territorio.

 

Così la pandemia sarà per il nostro Paese un’opportunità di crescita e non renderà vano il sacrificio di tanti operatori della sanità e la morte di tanti nostri concittadini.

 

Paolo Siani, pediatra e parlamentare