La politica, lo sviluppo e la lezione delle 5 Italie

Una sola Repubblica, anzi no, una Repubblica divisa in cinque. È questo l’esito di una ricerca dell’Iref che affronta il tema dell’aumento delle diseguaglianze attraverso la distribuzione sociale e territoriale della ricchezza in Italia. Sulla base di una serie di indicatori, emerge un’Italia divisa in cinque poli. Vediamoli brevemente.

Il primo è il polo dinamico, un cluster di crescita asimmetrica. La ricchezza media è più alta della media nazionale per un terzo di più e il tessuto dell’economia è solido e in continua espansione, anche grazie alle performance del terziario avanzato. Le province di questo gruppo registrano un valore particolarmente alto e positivo nel saldo migratorio e una significativa diseguaglianza interna. Le province coinvolte sono tutte a Nord (a parte Roma, che però ha uno status speciale), particolarmente in Emilia Romagna.

Il secondo è il polo delle comunità prospere. È l’Italia del benessere diffuso. Il secondo gruppo è formato da 13 province centro-settentrionali. Anche qui si registra una ricchezza un po’ più alta della media nazionale, ma meglio distribuita, che garantisce una condizione di benessere diffuso. Ci sono parecchie zone di frontiera e l’economia locale è particolarmente produttiva e aperta all’internazionalizzazione.

Il terzo è il polo dei territori industriosi. È l’Italia che resiste. È il gruppo più numeroso, si colloca tra il Nord e il centro Italia. È la parte del paese che resiste alla crisi, grazie ad una rete polivalente di realtà aziendali disseminate sul territorio, dove l’industria recita ancora un ruolo di rilievo strategico. È un modello di economia molecolare, posto sotto pressione dalla competizione globale, ma dove il tessuto di imprese manifesta una buona capacità di penetrazione sui mercati esteri, anche grazie all’hi-tech. È un’Italia di mezzo, potremmo dire baricentrica.

Infine non uno ma due Meridioni (e un po’ di centro): il Sud fragile e le province depresse. Queste ultime sono costituite da quelle aree investite da un lento declino o da una stasi nei principali parametri economici e sociali ma dove gli standard di vita non sono troppo lontani da quelli medi in Italia. Più ampia è invece la differenza che divide il quinto gruppo dalle altre aree del paese. Il Sud fragile versa in una condizione di disagio profondo: la filiera produzione, occupazione, ricchezza, credito e investimento non funziona e non emergono reazioni alla crisi. Perfino (o forse: di conseguenza) gli indicatori di capitale sociale e di civismo manifestano una speciale fragilità.

Queste sono le cinque aree. E certamente queste considerazioni non sono nuove. Ma l’analisi dei diversi indicatori mette in luce caratteristiche uniche per ognuna delle cinque zone. E questo ci porta anche a dire che se si intendesse proporre una politica nazionale di sviluppo, allora occorrerebbe individuare strumenti differenziati a seconda dei cluster. In altri termini: una politica nazionale è unica solo se differenziata. Sarebbe l’unico modo per tenere insieme un paese così eterogeneo.

Roberto Rossini