Le Acli e i referendum: una partecipazione sempre attiva

Le ACLI hanno partecipato appassionatamente alle tornate referendarie che si sono succedute nella storia dell’Italia repubblicana.
Il primo referendum è quello del 2 giugno 1946, in cui gli italiani sono chiamati a scegliere tra la repubblica e la monarchia e, contemporaneamente, a eleggere l’Assemblea costituente. 
Meraviglia, leggendo i verbali del consiglio di presidenza delle ACLI, che non vi sia un’indicazione di voto per quanto riguarda il referendum istituzionale, mentre con orgoglio si sottolinea che molti aclisti sono candidati. 
Verosimilmente la presidenza aclista non vuole creare frizioni con le gerarchie ecclesiastiche, in gran parte favorevoli alla monarchia, tanto più che l’universo aclista nei suoi insediamenti più forti del Nord del paese, a partire da Achille Grandi, è già schierato su posizioni repubblicane.
Le ACLI, consapevoli che il sistema elettorale in un paese democratico è la condizione fondamentale per determinare il grado di rappresentatività delle forze politiche, affiancano ogni tipo di riforma elettorale che ritengano possa garantire una maggiore stabilità politica. 
Così alla fine degli anni ’80, quando inizia la cosiddetta stagione delle riforme, le ACLI si trovano in prima fila nel sostenere i referendum elettorali lanciati da un’inedita aggregazione di forze della società civile ed esponenti politici, in primis il deputato della DC Mario Segni, animatore del Movimento per la Riforma Elettorale. Le ACLI sono tra le prime associazioni a aderire e, grazie alla loro capillare diffusione sul territorio, costituiscono il punto di riferimento decisivo per l’organizzazione della campagna e per la raccolta delle firme necessarie ai referendum.

In vista del referendum che prevede l’abrogazione della preferenza plurima nella scheda per l’elezione dei deputatifissato per il 9 giugno 1991Aldo De Matteo (Presidente del Centro Istituzioni delle ACLI, entrato a far parte del Comitato promotore dei referendum) scrive:
«Il 9 giugno non si vota soltanto contro i brogli elettorali, per limitare le preferenze, ridurre i giochi delle correnti, scegliere i candidati più affidabili, ma soprattutto per avviare un nuovo processo di riforma dello Stato e delle sue istituzioni, restituendo alla gente i diritti fondamentali ed alla politica il suo valore».
La vittoria del Sì fu accolta con grande entusiasmo dalle ACLI che, però, considerano la sola introduzione della preferenza unica alla Camera non sufficiente a restituire efficienza e governabilità al sistema politico italiano e si impegnano a sostenere i nuovi referendum elettorali, proposti dall’on. Mario Segnisull’introduzione del sistema maggioritario uninominale per l’elezione del Senato.
LACLI, partendo dal civile sono ora attivamente esposte in prima persona per la riforma della politica, senza più affidarsi alla mediazione di un partito 

È significativo, al riguardo, il titolo del XVIII Congresso Nazionale (Roma, 4-8/12/1991)Da cristiani nella società. Sviluppare la solidarietà, riformare le istituzioni nell’Europa dei cittadiniIlluminante un passaggio della scheda congressuale n.11: «la proposta aclista, ispirandosi ad una democrazia d’indirizzo, mira a costruire un sistema parlamentare in cui gli elettori scelgono direttamente il responsabile dell’esecutivo, ma dentro un preciso quadro di programmi e coalizioni tra loro alternativi. Il premier così è responsabile del programma e di una maggioranza sotto il controllo della partecipazione popolare». 

La vittoria del “Sì”, nell’aprile del 1993, nel referendum proposto da Segni costituisce una svolta di grande importanza: il titolo del Comunicato Stampa che riporta una dichiarazione del presidente Giovanni Bianchi parla chiaro: “Ora il Parlamento deve approvare una nuova legge elettorale uninominale e maggioritaria”. 

L’altra grande battaglia degli anni Novanta è quella per la raccolta di firme per i referendum sulla libertà d’informazione, in particolare quello relativo all’abrogazione della cosiddetta legge Mammì, che consente la concentrazione di tre reti televisive nelle mani di un singolo soggetto privato. 
Di fronte alla proliferazione dell’uso del referendum abrogativo negli anni a venire, le ACLI – pur considerandolo uno strumento incompleto e insufficiente da solo a governare le grandi questioni sottese – invitano sempre gli iscritti a recarsi alle urne, perché il referendum rimane un passaggio fondamentale verso la democrazia partecipativa. 

Il primo decennio del 2000 è caratterizzato dai referendum costituzionali. 

Nell’ottobre del 2001 per il referendum sulla conferma della legge di riforma costituzionale, che favorisce una maggiore autonomia delle Regioni e degli Enti localilACLI invitano i cittadini a votare Sì
In un documento della Presidenza l’indicazione è così motivata: «Questa riforma è una tappa importante verso una Repubblica delle autonomie. Non è la tappa finale di un percorso che dovrà continuare, ma una tappa forse decisiva, per la quale è importante la partecipazione della cittadinanza attiva e consapevole, da cui dipende non solo l’esito del referendum, ma l‘efficacia stessa della riforma». 

Nel 2006, invece, le ACLI operano attivamente all’interno del Comitato del No nel referendum sulla conferma della legge costituzionale che riguardava le modifiche alla parte II della Costituzione, approvata dalla maggioranza di centro destra nel novembre del 2005, 
La larga vittoria del fronte del “No e la soddisfazione per il rifiuto da parte della grande maggioranza degli italiani della [dt_tooltip title=”devolution”]Nel linguaggio politico, trasferimento o delega di alcune competenze (per es., sull’educazione, sulla gestione dell’ordine pubblico, sull’ambiente) dallo stato alle regioni, rivendicato da alcuni movimenti e partiti come correttivo al presunto centralismo della Costituzione italiana.[/dt_tooltip] e dell’eccesso di potere del premier, confermano nelle ACLI la necessità di una nuova stagione costituente. 

A cura dell’Archivio Storico ACLI Nazionali 

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