Lunedì 24 dicembre 2018

Dal vangelo secondo Luca (Lc 1, 67-79)

In quel tempo, Zaccarìa, padre di Giovanni, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo: «Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo, come aveva detto per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo: salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano. Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati. Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace».

La vita è più forte della morte

A cura di Lisa Cremaschi, monaca della comunità di Bose

Le nostre malattie, le nostre crisi, le nostre tenebre, la nostra morte e quella di ogni uomo si apriranno alla vita. Questo crediamo e speriamo: la vita è più forte di ogni contraddizione, della morte stessa. Quando penso alla consolazione cristiana, a ciò che dovremmo dire a chi soffre, mi viene in mente il testo di At 14,22 in apparenza così sconvolgente. Paolo e Barnaba, raccontano gli Atti, ritornano in alcune comunità cristiane che erano state perseguitate, che avevano sofferto, e, dice Luca, ridavano vita ai discepoli e li esortavano a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio. Quell’”‘è necessario”‘ – in greco deî – ricorre negli annunci della passione, morte e resurrezione di Gesù. Non ci dice che la sofferenza è un bene, ma che c’è un disegno di Dio che passa attraverso la sofferenza, attraverso il

mistero della morte ma che si apre alla vita. Paolo e Barnaba aiutano i cristiani che hanno sofferto, che hanno visto morire dei loro fratelli nella fede a leggere la loro sofferenza alla luce del cammino del Signore, a mettere il loro dolore in quello di Gesù e a credere in colui che è risorto dai morti. “‘Non tutto ciò che accade è volontà di Dio, ma in ogni cosa che accade c’è una via che conduce a Dio”‘, scriveva Dietrich Bonhoeffer dal carcere (Resistenza e resa, Paoline, Milano1988, p. 236). In tutto ciò che ci accade è possibile cogliere un raggio di speranza.

L’incertezza riguardo all’ora del ritorno di Cristo esige un atteggiamento di laboriosa vigilanza nella carità, nella pazienza dinanzi alle prove e alle sofferenze (cf. Gc 5,7), nell’abbandono fiducioso di chi crede che le sue attese non saranno deluse (cf. Rm 12,12; 15,13) imitando Abramo che “ebbe fede sperando contro ogni speranza” (Rm 4,18). Della sua speranza il credente dovrà saper rendere ragione a chi glielo chiede (cf. 1Pt 3,15), a quelli che non hanno speranza (Ef 2,2), a quelli che sono tentati dalla stanchezza dinanzi alla vita, a quelli che si trovano nella malattia e nella sofferenza.

Sulla comunità dei credenti in Gesù, chiamati a una sola speranza (Ef 4,4) l’apostolo Paolo invoca il dono di comprendere con gli occhi del cuore a quale speranza sono stati chiamati e quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi (Ef 1,18). Non solo a parole, ma con l’intera sua vita, specchio della speranza che lo abita il credente è chiamato a dare speranza a chi non vede un domani. Scrive Bonhoeffer: ‘Cristo nostra speranza. Questa formula di Paolo è la forza della nostra vita”‘. La speranza è confidenza, fiducia, spesso è sinonimo di fede e di amore. Una vita centrata su di sé non può sperare. Una vita che per idolo il proprio io non può sperare. Cristo è il compimento della nostra speranza. Il centro generante la speranza cristiana è la risurrezione di Cristo. Per i discepoli di Emmaus con la morte di Gesù è finita anche la loro speranza. Sanno tutto, raccontano tutto quello che è accaduto, ma non hanno fede e non hanno nessuna speranza. Noi speriamo anche agli inferi, come Silvano del monte Athos e speriamo per tutti, non solo per noi. Un testo di von Balthasar è proprio intitolato così: “‘Sperare per tutti”‘. I credenti sperano per tutti, perché l’amore spera tutto.