Ognuno ha l’età dei suoi sogni. Il Sermig a Bergamo per la giornata mondiale della Pace

A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale per la Vita Cristiana

La prima volta di Ernesto Olivero

La prima volta è stata alla fine degli anni Settanta. Don Francesco, il prete che era venuto da noi a occuparsi dei giovani, portò in oratorio una rivista nata da pochissimo tempo. Si chiamava “Progetto” e ci piacque subito. Raccontava di utopie e di concretezza, di sogni, di grandi sogni, addirittura quello di abbattere la fame nel mondo,  e di impegno nel quotidiano, di lotta e contemplazione.

Ricordo l’ultima pagina della rivista che riportava, ogni volta, alcune magnifiche preghiere di “un monaco nel mondo”. Decidemmo di invitare Ernesto Olivero, il fondatore del Sermig (Servizio Missionario Giovani), il gruppo che, a Torino, aveva dato vita alla rivista.

Così, un giorno, venne ad un incontro vicariale affollatissimo e sorprese un po’ tutti. Scoprimmo che era sposato con Maria, padre di tre figli e che lavorava come bancario al San Paolo. Un laico che con sua moglie e alcuni amici cercava di prendere sul serio il Vangelo. Di tradurlo nella vita, senza se e senza ma.  Pareva perfino ingenuo nella sua passione, nel suo raccontare l’urgenza di una fede che diventava credibile solo se diventava azione, se ci si sporcava le mani con le vicende degli uomini.

Ci parlò dei suoi amici: della paternità nei loro riguardi di padre Michele Pellegrino, uno dei più grandi vescovi del dopo Concilio in Italia, di mons. Helder Camara, di frère Roger di Taizé e Giorgio La Pira.

A Torino, un ex-arsenale militare diventato un monastero in piena città

Qualche anno dopo andammo a trovarlo a Torino. Ascoltandolo di nuovo, ci rimase ancora addosso l’idea di un sognatore con i piedi per terra. Ci fece visitare una parte dell’ex Arsenale militare di Borgo Dora, un luogo simbolo di Torino, perché da lì erano uscite le armi delle guerre italiane, dal Risorgimento fino alla seconda guerra mondiale. Dagli anni Sessanta era dismesso e da poco era stato dato in comodato al Sermig.

Ernesto ci raccontò che all’inizio pensavano di aprire, proprio sui resti di un luogo di morte, una grande biblioteca della pace. Ma una sera, durante un incontro, un ragazzo gli puntò il dito addosso dicendogli: “Tu, Olivero, stanotte dove dormi?”. Davanti al suo silenzio, il ragazzo gli ricordò che a Torino vi erano solo una ventina di posti per chi non aveva alloggio. “All’epoca lavoravo ancora in banca, ma decisi che anche se l’indomani  avrei dovuto presentarmi al lavoro, quella notte l’avrei passata in stazione e scoprii l’inferno”.

Da allora l’Arsenale è diventato una porta aperta, nel cuore della città, per chi fa più fatica. Un luogo di accoglienza, sempre aperto, 24 ore su 24, per migliaia di persone: senzatetto, profughi, donne sole con i loro figli. Centro di molte attività di formazione professionale, la Scuola per artigiani restauratori, l’Accademia musicale laboratorio del suono, l’Università del dialogo.

Punto di riferimento per tantissimi giovani (anche da Bergamo) che desiderano fare un’esperienza di servizio, formazione e spiritualità. Ma anche uno spazio orante dove vive stabilmente una fraternità di fratelli e sorelle che con la Regola del Vangelo e una scritta da Ernesto qui hanno consacrato la loro vita.  Un monastero nel cuore della metropoli, per far rifiorire il deserto.

Una coraggiosa scommessa sui giovani

Sono passati molti anni dal mio primo incontro con lui. Anni nei quali Ernesto ha girato il mondo come ambasciatore di pace, scritto parecchi libri, ricevuto tanti riconoscimenti, aperto un Arsenale della speranza a San Paolo in Brasile e un Arsenale dell’incontro a Madaba, in Giordania, che ho visitato lo scorso mese di novembre. Ma non ha smesso di sognare e di decifrare i segni dei tempi che mutano nella storia.

Quello che mi colpì allora e che è ancora oggi la caratteristica del Sermig è la scommessa sui giovani. O meglio sulla testimonianza di adulti che rendono credibile la proposta ricominciando a vivere le cose che dicono. Lo ha scritto spesso: “I giovani hanno bisogno di testimoni sereni e credibili. Chiunque lavori con loro deve guardarli negli occhi e non aver paura a farsi guardare negli occhi. Loro, i giovani, devono invece imparare a dire dei si e dei no decisi”.

Chi lo ascolta può rimanere perplesso dall’apparente semplicità del suo discorrere. Una parola e una scrittura essenziale, senza fronzoli, quasi a voler, ogni volta, ribadire le poche cose che contano: la fedeltà al Signore e la cura dei più poveri in carne e ossa. Il resto è accademia, salotto che rischia di non cambiare nulla. E, oggi, come quarant’anni fa quando lo incontrai, i modi per rendere possibile il cambiamento partendo da sé stessi: la bontà che disarma, il dialogo nella reciprocità, il silenzio, la guida di maestri buoni e saggi, l’impegno quotidiano per la pace.

Tutto questo facendo spazio all’imprevisto, all’inedito. Facendo propria la lezione di Mounier (non so se Ernesto l’ha letto): “l’avvenimento sarà il tuo maestro interiore”. I fatti della quotidianità e le persone concrete, perché “i pensatori si accorgeranno della fine del mondo un quarto d’ora dopo”.

Il Sermig e Ernesto Oliviero a Bergamo, il prossimo 11 maggio

Il prossimo 11 maggio Ernesto e il Sermig hanno scelto Bergamo come sesta tappa degli “Appuntamenti Mondiali Giovani della Pace”. Ogni due anni una grande città accoglie decine di migliaia di giovani da tutta Italia e dal mondo per dialogare, riflettere, pregare, cantare, danzare sul tema della pace. Stavolta tocca a Bergamo (di cui Ernesto Olivero dal 2015 è cittadino onorario) dare la parola ai giovani.

Piazze, chiese, teatri della nostra città si affolleranno per dire ancora un volta che i buoni non sono dei superuomini, sono persone normali, a volte debolissime. Succede agli adulti, succede ai giovani che oggi sono all’ultimo posto, esclusi, senza lavoro, non considerati. Siamo debolissimi, ma da quell’ultimo posto possiamo cambiare il mondo. Anche se siamo debolissimi, possiamo scoprire una forza mai sperimentata prima, possiamo essere fortissimi se diciamo un NO mai detto prima. Un no alla morte che arriva anche nei piccoli gesti. Un sì alla vita che abbiamo il potere di far fiorire in noi e intorno a noi. Nelle nostre mani abbiamo un potere trasformante. Crediamoci insieme: l’oggi può davvero diventare un domani in pace.”

Ognuno ha l’età dei suoi sogni”, ama ripetere Ernesto. Che il passaggio del Sermig a Bergamo sia l’occasione per i molti che lo incroceranno di chiedersi su quali sogni stanno costruendo la loro vita. E quali strade stanno battendo per fare del mondo che abitano una terra più inclusiva e solidale. In nome di Dio, in nome dell’uomo.