Pensare la guerra, costruire la pace

Crocifissi. Sono i bimbi morti sotto le bombe di Mariupol. Crocifissi sono le mamme in fuga che lasciano una casa, una famiglia, un marito che va in guerra. Crocifissi sono i soldati, quelli ucraini che difendono la loro patria, ma anche quelli russi, mandati a combattere, forse inconsapevoli ma comunque anche loro meritevoli di essere amati e non armati. Ne  abbiamo visti fin troppi di crocifissi, in questa guerra, per non essere spinti con tutte le nostre forze a cercare la via della pace. Le conseguenze delle guerre sono fin troppo note nella loro tragicità perché quella bellica possa essere considerata un’opzione possibile: e tuttavia le guerre ci sono, in ogni angolo del pianeta, e quella generata dall’aggressione della Russia all’Ucraina è solo una delle tante, che però ci tocca da vicino perché avviene su suolo europeo e perché modifica la sfera di interessi e di sicurezza del nostro Paese e dell’Unione europea.

A fronte dell’escalation di violenze in alcune città ucraine e all’isolamento via via crescente della Russia ci dobbiamo domandare quali siano le modalità concrete per trovare una via d’uscita che non costi altro sangue ed altre sofferenze di innocenti.

Papa Francesco ci ha indicato una strada, che è quella simbolicamente rappresentata dal digiuno del 2 marzo, mercoledì delle Ceneri: da diversi anni il digiuno non viene più considerato uno strumento penitenziale, afflittivo, ma un momento di purificazione, un rinunciare a qualcosa nel nome di un essenziale troppo trascurato. Non a caso si parla anche di digiuno dalle troppe parole, dalle cattive intenzioni, dalle inclinazioni negative: un momento in cui si guarda con lucidità a se stessi e alla realtà che ci circonda e ci si domanda in che cosa abbiamo sbagliato e come possiamo trovare le migliori forme di riconciliazione con Dio, per chi crede, con la realtà che ci circonda, con le persone che incontriamo.

Nel caso specifico, esiste l’imperativo morale – e politico – di non premiare l’aggressore ai danni dell’aggredito, ma esiste anche la necessità di trovare, attraverso la diplomazia,  un terreno al di fuori del contesto bellico dove  le parti possano interloquire e trovare un accordo.

È il compito dei Governi, certamente, ma è anche compito di un’associazione come le Acli, quello di portare l’aspirazione alla pace come modello educativo globale, come riscoperta non solo della necessità di evitare i conflitti ma anche di ripensare l’organizzazione della società e dell’economia secondo criteri più equi, più giusti, più autenticamente a misura dell’essere umano.

Allo stesso tempo, credo che la lezione che va appresa dal nostro Paese e da tutti gli Stati che fanno parte della UE sia quella che è arrivato il tempo per un sistematico ripensamento del cammino di integrazione che giunga, finalmente, a dare all’Unione il volto di uno Stato autenticamente federale con una politica economica, fiscale, diplomatica e di difesa comune che elimini i meccanismi ereditati dall’epoca della Guerra fredda, e permetta di ricostruire le partnership atlantiche ed euroasiatiche su basi nuove, nella prospettiva indicata cinquantacinque anni fa da Paolo VI nella Populorum progressio : “Lo sviluppo è la nuova via della pace”.

L’assetto post pandemico del mondo crea nuove sfere di influenza e  nuovi equilibri, rimodellando gli interessi particolari e le aspettative dei gruppi di interesse, ma rimane inalterata la domanda di maggiore giustizia nei rapporti sociali globali che è rimasta fin qui inevasa, di cui questa guerra, come tutte le guerre, è espressione. L’accettazione della complessità dello scenario è il primo passo per una migliore comprensione reciproca, a fronte dei problemi che abbiamo davanti, primo fra tutti quello della transizione ecologica (strettamente connesso a quello delle fonti energetiche), che ci ricordano che non abbiamo un pianeta di riserva in cui vivere e che “ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese può negare tale diritto fondamentale” (Fratelli tutti, 107).

Emiliano Manfredonia, Presidente nazionale delle ACLI

 

Articolo pubblicato su L’Osservatore Romano il 19 marzo 2022