Pentecoste

Domenica – 4 giugno 2017 – Anno A
Parola del giorno: At 2,1-11; Sal 103; 1 Cor 12,3b-7.12-13; Gv 20,19-23

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (Gv 20,19-23)

19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

COMMENTO AL VANGELO
a cura di don Cristiano Re, accompagnatore spirituale Acli Bergamo

Più ancora che le porte del cenacolo, quella sera, era chiuso il cuore degli Undici, barricato dentro le proprie convinzioni e riserve, paralizzato dalle proprie paure. C’era qualcosa a cui essi attribuivano un potere superiore a quello del Signore: il timore nei confronti dei Giudei, dice il Vangelo. Le nostre paure, le rigidità che ci immobilizzano e quanto la fede è capace davvero di restituire sguardo e fiducia alla nostra vita e quanto Dio è davvero importante per la nostra vita se poi continuiamo ad avere paura.

Ripenso a tutte quelle situazioni nelle quali c’è un potere paralizzante davanti al quale finisco per concludere: neanche Dio può farci più nulla. Eppure, Dio non si rassegna. Dio non dice mai “non c’è più nulla da fare”. Dio non lo fa mai. Dio ripete sempre: “Ricevete lo Spirito Santo!”. Dalla parte della vita, fino alla fine, anche quando tutto sembra portare i segni evidenti del fallimento. “Ricevete lo Spirito Santo…”.

Cosa può significare celebrare ancora la Pentecoste se non sentirsi ripetere che non è ancora la fine e che Dio non cessa di riversare il suo Spirito e non perché finalmente la situazione sia ideale ma, forse, proprio perché essa sembra allo sbando?

Quella sera il Signore si rese presente – venne Gesù, stette in mezzo a loro – in mezzo a una comunità che conosceva bene fragilità e paure.  A loro consegnò il dono della pace che nulla ha a che vedere con una esistenza al riparo da lotte e tensioni, nulla da spartire col nostro bisogno di starcene in pace… La pace donata dal Risorto, infatti, è quella capacità di riconoscere che se la paura e la fragilità sono evidenti, ben più grande è la fiducia in colui che vince il male grazie a una misericordia e ad una cura insperata.
Non è forse questo il compito della comunità cristiana inviata per essere segno di nuovi inizi, di possibili germogli nella misura in cui si lascia condurre dallo Spirito Santo e non da logiche strategiche che nulla hanno a che vedere con il Vangelo?

Un’altra storia è possibile, dice Dio, ma occorre tanta audacia da parte nostra per farla nascere. Forse dobbiamo tornare ad una dimensione diversa della Pentecoste. Ritornare alla Pentecoste piccola, quella senza clamore. La Pentecoste piccola è un dono unico, singolare, particolare, assoluto direi; dono che ha a che fare con la stessa sostanza di Dio, dono che se accolto può far scaturire lo Spirito della verità, fa nascere in modo naturale tutti i grandi doni, i grandi pensieri di cui ogni uomo è reso capace, se attraversato dallo Spirito e tutto questo dentro ai quotidiani tracciati delle nostre storie. Ecco, la forma della fede e della testimonianza si fonda in modo essenziale su questo. Dio che ha fede in noi e ci dona il suo Spirito e da qui è resa possibile la nostra fede in lui e poi anche voi date testimonianza, perché animati, riempiti dello stesso Spirito di Dio lo spirito del principio.

Il grande salto che il dono dello Spirito ci fa compiere è quello di restituire profondità e verità alle cose della vita, alle relazioni. Il dono di restituire valore divino alle cose degli uomini e tangibilità umana alle cose di Dio.