Se l’autonomia disegna un’Italia divisa

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A volte tornano. Soprattutto quando non hanno mai smesso di credere che l’unico destino dell’Italia fosse la cancellazione della sua stessa identità di Repubblica unica e indivisibile. Non più unitaria ma tenuta insieme dall’annacquato collante dell’autonomia differenziata che non solo non esalta il regionalismo, ma lo snatura al punto da renderlo irriconoscibile. Una proposta quanto meno inopportuna se si considerano i danni che a regime produrrebbe una riforma che, come in un menù alla carta, spingerebbe le Regioni a richiedere l’autonomia sulle ventitré materie a legislazione concorrente tra le quali: scuola, trasporti, cultura, istruzione, energia, infrastrutture e reti, sanità e altro, per generare finalmente gli Split off States of Italia con ventuno Regioni a statuto speciale. Una riforma che, piuttosto che medicare ferite, le aiuta a degenerare.

L’immagine di un’Italia fratturata è infatti già molto evidente, almeno secondo la 33ª indagine sulla Qualità della vita del Sole 24 Ore. E visto che è tempo di dossier, l’ultimo Rapporto della Svimez stima che nel prossimo anno 760.000 nuove persone saranno a rischio povertà assoluta, di cui 500milasolo nel Mezzogiorno. È dunque evidente che il rallentamento della pandemia non ha ancora portato con sé una diminuzione della povertà, anzi. La povertà assoluta nel nostro Paese è molto diffusa, sia nei numeri che nella geografia dell’indigenza. Le famiglie in povertà assoluta sono 1.960.000, pari a5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione residente). Secondo l’ultimo Rapporto Caritas 2022,l’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10% dal 9,4% del 2020) mentre scende in misura significativa al Nord, in particolare nel Nord-Ovest (6,7% dal 7,9%).

Nel Sud, come rilevato dall’Istat (ottobre 2022), il rischio di indigenza o esclusione sociale è maggiore rispetto al Nord (4persone ogni 10 residenti), in cui è meno della metà (Sud e Isole 41,2%, Nord Est 14,2%, Nord Ovest17,1%). Questo rischio aumenta tra gli individui che vivono in famiglie con bassa intensità lavorativa, una condizione in continuo aumento dal 2019 (20,6% nel 2021 contro 19,2% del 2020 e 17,3%del 2019). Il lavoro, dunque, non pare più essere l’antidoto di sempre alla povertà visto che scarseggia, così come il reddito di cittadinanza che oggi è messo fortemente in discussione nella legge di Bilancio 2023 del governo Meloni. Ma questi dati sono solo la punta dell’iceberg di una povertà molto più diffusa e sfaccettata: è il Sud che detiene il record negativo di povertà demografica e educativa. La disparità di opportunità è presente sin dalla primissima infanzia, visto che la spesa media pro capite per asili nido si ferma a 906 euro, con forti differenze, in una forbice che va da Trento(2.481 euro) alla Calabria (149 euro). Nella scuola primaria la situazione non è migliore: mentre ne lCentro-Nord quasi la metà dei bambini può beneficiare del tempo pieno, nel Sud è un’opportunità.

Antonio Russo, vice presidente nazionale delle Acli

Articolo pubblicato il 19 dicembre 2022 su Il Mattino