“Stop alla vendita di armi all’Arabia Saudita”

Papa Francesco qualche giorno fa alla 92ª Riunione delle opera di aiuto alle Chiesa orientali (Roaco) nel suo discorso ha ricordato che “Gridano le persone in fuga ammassate sulle navi, in cerca di speranza, non sapendo quali porti potranno accoglierli, nell’Europa che però apre i porti alle imbarcazioni che devono caricare sofisticati e costosi armamenti, capaci di produrre devastazioni che non risparmiano nemmeno i bambini”.

L’allarme che arriva dalla “Rete per il Disarmo” va nella stessa direzione: nelle prossime settimane arriveranno in Italia altre navi-cargo saudite, col rischio fondato che si carichino nei porti nostrani armamenti diretti in Arabia. Basta d’altronde pensare a quanto capitato solo poche settimane fa prima a Genova e poi a Cagliari con l’approdo della compagnia Bahri Yanbu, la più grande flotta della monarchia saudita composta da sei navi-cargo. Se nel primo caso, grazie alle proteste e alla mobilitazione delle associazioni, tra cui anche le ACLI di Genova, e dei camalli, il carico incriminato è rimasto a terra (almeno per ora), nel secondo con un blitz tanto inaspettato quanto inquietante sono stati caricati 44 container (per un totale, si stima, di circa 6mila bombe) partiti oramai per Gedda.

L’allarme di nuove spedizioni arriva dalla Rete per il disarmo, che da anni chiede lo stop alla vendita di armi all’Arabia. «La Bahri – spiega il coordinatore Francesco Vignarca – fa trasporti continuativi, con cadenze praticamente regolari. E le rotte sono sempre le stesse: quella nordamericana, per esempio, passa per Usa, Canada, poi Germania o Belgio, Francia, Spagna e infine Italia. Ovviamente non possiamo dire che ogni volta che la nave si ferma in Italia, più o meno ogni due settimane, trasporti armamenti. Ma il rischio, visti i precedenti, è molto alto». A vedere le rotte della navi che compongono la flotta saudita è molto probabile che la Bahri Jazan sia a Genova il 21 giugno, la Bahri Jeddah il 13 luglio, la Bahri Abha 3 agosto e la Bahri Hofuf il 23 dello stesso mese. Con un piccolo particolare: «Prima di Genova, tutte toccheranno i grandi terminal militari degli Stati Uniti e del Canada dove imbarcheranno sistemi militari e armamenti», spiegano ancora dalla Rete per il disarmo.

Dal governo gialloverde non si muove una foglia. I due ministeri principalmente coinvolti – Difesa e Farnesina – preferiscono non commentare. Eppure il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, lo scorso 28 dicembre, nella conferenza stampa di fine anno dichiarava che «il governo italiano è contrario alla vendita di armi all’Arabia Saudita per il ruolo che sta svolgendo nella guerra in Yemen. Adesso si tratta solamente di formalizzare questa posizione e di trarne delle conseguenze». Finora, però, «non ci risulta che il governo italiano si sia mosso in questa direzione e, anzi, ha continuato a permettere le forniture di bombe italiane all’Arabia Saudita», spiega Beretta. La soluzione, peraltro, sarebbe a portata di mano: «La legge italiana e il Trattato Onu sul commercio di armi offrono gli strumenti giuridici per sospendere le esportazioni di armamenti ai sauditi. Il Trattato Onu prevede infatti la possibilità di vietare l’esportazione di armamenti quando si è a conoscenza che possono essere utilizzati per commettere o agevolare una grave violazione del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani. E la legge italiana 185/1990 all’articolo 15 permette di revocare e sospendere una licenza di esportazione: è sufficiente un decreto della Farnesina. Non è necessaria, pertanto, alcuna modifica alla legge attuale: chi invoca questa necessità temo stia soltanto cercando di nascondere la mancanza di volontà politica da parte del governo, e dei partiti che lo sostengono, di fermare le esportazioni di bombe ai sauditi». Tesi plausibile, considerando che qualche settimana fa erano state presentate risoluzioni che andavano in questo senso, una delle quali a firma M5S. Ebbene, nonostante i solleciti delle opposizioni nulla è stato fatto. E la stessa mera calendarizzazione resta una chimera.

Una possibile risposta di questo silenzio arriva analizzando la relazione pubblicata qualche settimana fa relativa all’esportazione di armamenti, dalla quale emergono nel 2018 816 esportazioni effettuate nel 2018 per un valore di 108.700.337 euro. Tra queste si evidenziano tre forniture del valore complessivo di 42.139.824 euro attribuibili alle bombe aeree della classe MK80 prodotte dalla Rwm Italia che risalgono ad una autorizzazione rilasciata nel 2016 dal governo Renzi per la fornitura all’Arabia Saudita di 19.675 bombe aeree del valore di oltre 411 milioni di euro. Si tratta delle stesse bombe di cui parla la relazione Onu del 2017 che ha documentato il loro utilizzo in bombardamenti anche su civili in Yemen, tanto da costituire, dice la stessa Onu, «crimini di guerra».

Grazie alla “Rete per il Disarmo”.