Sulla povertà c’è ancora molto da fare

Scritto da Gianluca Budano, responsabile welfare Acli dal 2012 al 2013

Lavorare affinchè l’Italia non fosse più il fanalino di coda dell’Europa, seppure in compagnia della Grecia, in materia di contrasto alla povertà assoluta. Fu con questo obiettivo che nel 2012 iniziai la mia attività da Responsabile Nazionale per le Politiche di Welfare delle Acli.

Una sfida enorme, affrontata con Caritas Italiana e Sant’Egidio come compagni di viaggio, con il sostegno scientifico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’impegno della Fondazione Cariplo a sostenere le attività di progettazione e ricerca.

L’idea di fondo stava anzitutto nel prender atto che i poveri non hanno voce e tale condizione li lascia in uno stato di mancata rappresentanza delle istanze e dei fabbisogni. Ecco, allora, l’idea di una “lobby poverty”, per dare voce a chi voce non ha. L’idea di un’Alleanza contro la Povertà. Fu quello il momento in cui avemmo la consapevolezza che senza un organo del genere non avremmo potuto generare la giusta pressione politica e sociale per dare gambe e far diventare legge una misura tanto attesa, troppo utile per essere dimenticata dalla politica italiana.

Nel Convegno di Studi di Orvieto, che segnò il riavvio dell’attività associativa dopo la pausa estiva, lanciammo un “Laboratorio sulle politiche di Welfare”, che risultò il più seguito dagli aclisti e il tema dominante fu il Re.I.S. e la riforma del sistema di welfare, in una prospettiva di welfare mix e di riorganizzazione della spesa privata delle famiglie.

Le elezioni politiche erano vicine ed era intenzione del gruppo di lavoro trovare il modo per far entrare nel dibattito politico un tema che a tutti noi appariva inspiegabilmente fuori dalle agende politiche, nonostante l’urgenza che il tema della povertà portava. Ci riuscimmo parzialmente. La fase aclista del resto era convulsa. Il Presidente Olivero, con Mario Monti, Luca Cordero di Montezemolo e Andrea Riccardi, avevano fondato Scelta Civica. Andrea Olivero era alla fine del suo mandato e le dinamiche successorie dominarono il dibattito interno di quel periodo.

Io ero uno dei candidati alla successione alla Presidenza delle Acli. Ricordo bene che nel conflitto interno posi e ottenni (e lo ribadii nel mio discorso di candidatura a Presidente) da Gianni Bottalico, che tenne esattamente fede da Presidente a questo patto, che il Re.I.S. fosse considerato un patrimonio comune da sostenere. A prescindere da chi si fosse imposto al Congresso come nuovo presidente, perché si trattava di una battaglia per i più fragili del nostro Paese.

Nacque, così, l’Alleanza Italiana contro la Povertà. Fu il momento, e ce ne fu almeno un altro, in cui percepii chiaramente che eravamo, come organizzazione del sociale, nella storia. La storia che avrebbe portato il nostro Paese a occuparsi dei più poveri, ma con lo scatto di aver progettato una misura non assistenziale, bensì di inclusione sociale, dove la presa in carico non consiste nel solo contributo monetario, ma nell’attivazione di un percorso individuale dove la povertà è quella dell’intero nucleo e dove al contributo in denaro corrisponde la restituzione alla comunità,attraverso una prestazione lavorativa, di quanto ricevuto. Due messaggi di pedagogia popolare: il
denaro pubblico non si regala; la dignità del povero non ha prezzo.

Ma il Re.I.S. non mi abbandona. Da direttore generale di un’azienda pubblica del brindisino, con la responsabilità dell’erogazione dei servizi di welfare per poco più di 103 mila abitanti, mi misuro con la concretezza di tale misura, che la Puglia anticipa nell’esperienza francavillese delle borse lavoro di inclusione sociale, poi nei “Cantieri di Cittadinanza” della giunta di Nichi Vendola e nel “Re.D.” della giunta di Michele Emiliano (incrociando il SIA ministeriale gestito dalla Direzione Inclusione Sociale del Ministero del Welfare guidata da Raffaele Tangorra).

È il momento in cui percepisco che la presa in carico, così come progettata nella misura pubblica di lotta alla povertà, necessita di un impegno importante degli uffici pubblici, in un contesto in cui l’integrazione socio-sanitaria è a macchia di leopardo e quella con gli uffici per l’impiego quasi mai sperimentata. Un dato invece è certo, una misura di contrasto alla povertà assoluta è efficace solo se gode di tale integrazione.

Ora che il Re.I.S. è legge, però, resta un compito arduo. Quello di rendere efficace questa misura, capace di far uscire dalla trappola della povertà chi ci è caduto. Una efficacia che dipenderà dalla volontà di riformare la macchina organizzativa pubblica e la cultura politica e amministrativa del welfare italiano, dove l’individuo deve diventare persona le cui scelte e la cui vicenda non sono personali, ma quelle della propria famiglia e della società in cui vive. Parafrasando Seneca, se conosciamo il vento e il porto, il compito sarà lungo e arduo, ma possibile.