Una giornata che non dovrebbe esistere

«La violenza contro le donne, dallo stalking al feminicidio, è una questione che riguarda tutti. Non è una questione solo femminile ma un tema cruciale di cui le donne e soprattutto gli uomini si devono far carico. Anche per questo, il Coordinamento Donne si è fatto promotore di una iniziativa forte raccolta da tutta la Presidenza nazionale delle ACLI, che letteralmente “ci ha messo la faccia”».

Agnese Ranghelli – responsabile nazionale Coordinamento donne Acli 
In occasione del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ospitiamo un suo articolo

 

In queste ore, si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una giornata così non ci dovrebbe essere. Perché ogni giornata della vita di ciascuno di noi dovrebbe essere vissuta senza alcuna forma di violenza.

Questa giornata che non dovrebbe esistere è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999. Scelta da un gruppo di attiviste, riunitesi a Bogotà nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi nel 1981, ricorda il brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni.

In Italia la ricorrenza viene ricordato solo dal 2005. Ma già due anni dopo, nel 2007, oltre 100.000 donne scendono in piazza a Roma “Contro la violenza sulle donne”, senza alcun patrocinio politico.

Dal 2006, la “Casa delle donne per non subire violenza” di Bologna, oltre a costituire una delle poche fonti nazionali sul fenomeno, promuove il Festival “La Violenza Illustrata”, evento unico nel panorama internazionale interamente dedicato alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Insomma, in pochi anni l’attenzione e le iniziative sul fenomeno della violenza contro le donne sono cresciute. Come l’attenzione della stampa, d’altra parte, anche se su questo versante davvero molto ci sarebbe da dire e da fare.

Ciò che è certo, è che mentre l’affermazione dell’uguaglianza e il divieto di discriminazione sono parte integrante del sistema dei diritti umani sin dagli inizi, il tema della violenza contro le donne entra nel dibattito internazionale solo molto tardi – sostanzialmente negli ultimi dieci anni – e ancora oggi incontra resistenze e conflittualità.

Il documento più importante è la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, del 1993, frutto di una forte pressione dei movimenti delle donne, culminata nella Conferenza di Vienna sui diritti umani. La Dichiarazione fornisce per la prima volta una definizione ampia della violenza contro le donne, definita come “qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata.” Nella stessa conferenza di Vienna si è decisa anche l’istituzione di una Relatrice speciale ONU sulla violenza contro le donne.

Negli anni seguenti, il tema della violenza contro le donne è stato approfondito nella Conferenza di Pechino, e poi nel dibattito della Commissione donne dell’ONU, della Commissione diritti umani, dell’Assemblea generale, fino all’Assemblea di “Pechino+5”, alla stessa Assemblea del Millennio, che nella sua Dichiarazione finale pone la lotta alla violenza sulle donne come uno degli obiettivi centrali delle Nazioni Unite del 2000, alla Convenzione di Istanbul.

Il tema rimane comunque conflittuale, permanendo profonde divergenze su come riconoscerla, prevenirla, punirla e perfino definirla all’interno dei sistemi normativi e giuridici comuni.

L’inasprimento delle pene per chi si macchia di questi orribili delitti non è riuscito ad arginare il femminicidio nel nostro Paese. Le donne che lavorano nei Centri antiviolenza lo denunciano da tempo. L’apparato sanzionatorio interviene alla fine della catena delittuosa e comunque non costituisce un deterrente efficace. Bisogna intervenire all’origine del fenomeno.

Siamo tutti convinti che necessiti un cambiamento culturale che debba partire dalle agenzie educative – famiglia e scuola in primis – con il coinvolgimento di tutti. Che si debba diffondere un’educazione basata sulla conoscenza e sul rispetto dei generi, sulla capacità di gestire ed esprimere le emozioni, sull’idea paritaria e rispettosa del prossimo; non improntata su aspettative stereotipate che rappresentino le bambine tranquille e serene, e i bambini irruenti e violenti. Far capire che violenti non sono solo i criminali, ma anche tutte quelle persone comuni che usano la forza nelle relazioni con gli altri.

Lanciamo un appello perché le donne denuncino i comportamenti violenti prima che sia troppo tardi. Perché si crei un percorso di presa in carico del soggetto denunciante, senza soluzione di continuità. Perché si intervenga fortemente, compattamente, unitamente e convintamente a scardinare una cultura avvilente, che ci costringe tutti in comportamenti coatti, lontani da una civiltà delle relazioni che sappia farci vivere felicemente.