La violenza contro le donne inibisce la crescita della società

Si è tenuta oggi 3 marzo nella sede nazionale delle Acli la tavola rotonda “La violenza contro le donne riguarda tutti. Nessuno Escluso”, organizzata dal Coordinamento Donne delle Acli.

La violenza sulle donne non accenna a diminuire e l’evoluzione della società sembra averla esasperata e resa “democratica”, perché non vi sono distinzioni tra nord e sud, giovani e adulti, stranieri e autoctoni.

Il dibattito su esperienze, politiche e pratiche, introdotto da Agnese Ranghelli, responsabile nazionale del Coordinamento donne Acli, e concluso dal presidente nazionale Acli Roberto Rossini, ha visto confrontarsi donne e uomini che da anni si occupano di questo delicato tema: Linda Sabbadini (esperta di statistica e studi di genere), Annadebora Morabito (esperta in Pari Opportunità e Cultura delle donne, docente presso l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna – Ateno pontificio Regina Apostolorum), Alberto Leiss, (giornalista e scrittore, fondatore dell’Associazione maschile plurale), Tiziana Zannini (coordinatore del Servizio per gli affari generali e sociali del Dipartimento per le Pari Opportunità).

Il fenomeno affonda le sue radici negli stereotipi che sostengono una disparità di genere tra uomo e donna, basato su un rapporto di forza che, come dichiarato dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite “ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di esse e ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne”.

“Il fenomeno della violenza sulle donne, espresso anche nella forma dello stalking, racchiude in sé molti altri fenomeni di violenza e discriminazione – ha concluso Roberto Rossini –. Una società che lascia che accadano violenze di genere non va verso l’integrazione e la libertà della persona nella comunità e nella famiglia. È per questo che le Acli si sentono di ribadire che la violenza sulle donne riguarda tutti, nessuno escluso”.

Non sono mancati accenni all’attualità, primo fra tutti la condanna inflitta all’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani per non aver agito con sufficiente rapidità per proteggere una donna e suo figlio dagli atti di violenza domestica perpetrati dal marito, che hanno poi portato all’assassinio del ragazzo e al tentato omicidio della moglie. “Il caso di Elisabetta è esemplare – commenta Agnese Ranghelli, responsabile nazionale Coordinamento Donne Acli -. Denunce ripetute e poi mitigate, anche quando è evidente che gli episodi di violenza sono di gran lunga più frequenti e gravi, coinvolgimento dei figli, mancato coordinamento delle forze in campo – da quelle di polizia ai servizi sociali, alle associazioni del privato sociale che si occupano di protezione. È senz’altro importante e necessario che da un punto di vista normativo vengano previste misure preventive e cautelari. Ma questo non è sufficiente, né – come ormai evidente – costituisce un deterrente”.