102 anni dall’Appello ai Liberi e Forti. L’impegno dei cattolici e la visione di futuro per l’Italia

Il 18 gennaio 1919, esattamente 102 anni fa, Don Sturzo, insieme ai membri della Commissione provvisoria del Partito Popolare Italiano (di cui faceva parte anche il fondatore delle Acli, Achille Grandi)  lanciava l’Appello ai «liberi e forti» rivolto a quanti, «uomini moralmente liberi e socialmente evoluti», erano disposti a impegnarsi a sostenere un progetto politico e sociale per l’Italia all’indomani della Prima guerra mondiale. Con l’occasione abbiamo realizzato una breve intervista al Prof. Nicola Antonetti, Presidente dell’Istituto Luigi Sturzo.

Prof. Antonetti, 102 anni all’appello di Don Sturzo ai liberi e forti. Un messaggio, a rileggerlo, molto attuale. L’appello prima di tutto non era rivolto “ai liberi e forti” ma “a tutti gli uomini liberti e forti”, quindi sicuramente un appello al mondo cattolico ma soprattutto a tutti gli uomini che avevano patito e pativano i drammi e le catastrofi materiali e morali delle due guerre. L’appello poi aveva in sé una visione complessiva per la revisione dello Stato Liberale e cioè puntava sulla democratizzazione dello stato, necessaria e obbligata proprio perché stava per essere attuata la riforma proporzionale che apriva spazio ai partiti popolari l’avvio ai partiti e quindi andava definito un nuovo compito delle masse all’interno della società. Se vogliamo parlare di attualità un primo momento è questo, cioè era un appello che aveva una visione complessiva interna e internazionale del ruolo che un nuovo partito laico, confessionale, programmatico e riformista doveva avere.

Che ruolo ebbe un personaggio come Achille Grandi e con lui anche il sindacalismo cattolico nell’elaborazione dell’appello ai Liberi e Forti. Certo, lì c’è stata una vera, seria e importante discussione tra questi tre grandi personaggi del nostro passato e cioè Grandi, Pastore e Sturzo. In quel momento ci fu la prerogativa, che Sturzo impose e che fu accetta, di dare un ruolo parlamentare al partito lasciando intatto il ruolo sociale del sindacato. Non mancava in quel periodo l’idea di portare le istanze sindacali direttamente in parlamento ma Sturzo fu molto rigido e, con il senno del poi,  fece bene visto che tuto il sindacalismo bianco ebbe la possibilità di evolversi come tutte le strutture amministrative cattoliche. Don Sturzo distingueva molto l’attività direttamente parlamentare dalle altre attività, che pur essendo di natura politica, si muovevano però nel sociale e quindi che praticavano vie per gli interessi di giustizia sociale nella società stessa.

Quali dovrebbero essere i contenuti per un rinnovato impegno dei cattolici nell’arena pubblica? Io direi che l’impegno maggiore dei cattolici dovrebbe essere quello di riempire il vuoto più grave che c’è nel nostro paese: cioè una visione del futuro per l’Italia. Se torniamo all’appello, Sturzo scriveva nei 12 punti che l’impegno principale che doveva avere il partito era di attivare nuova legislazione sociale idonea a salvaguardare il lavoro. Oggi è una prospettiva molto grave in modo diverso da allora, ma rimane grave. Nell’appello si parlava poi di trasformare lo Stato accentratore in Stato delle autonomie. Oggi siamo di fronte a una crisi tra Stato e Regioni che l’emergenza pandemica ha reso ancora più evidente e i cattolici possono dare una mano perché hanno gli strumenti culturali. Oggi c’è il tema della salvaguardia della democrazia e i cattolici sono quelli che hanno una tradizione consolidata verso i principi della democrazia liberale e bisogna dibatterli questi temi, bisogna farli emergere, e  soprattutto formare i giovani a questi principi. La via è difficile ma mi pare l’unica vera via per ridare senso a una presenza cattolica nel nostro paese.

Qual è stata la valutazione di Don Sturzo relativamente alle forze sociali e quale ruolo oggi potrebbero giocare per la ripartenza del paese. Don Sturzo penso sia stato il grande teorico della necessità che lo Stato e le Istituzioni garantiscano le condizioni di uguaglianza delle persone. Le istituzioni non possono garantire l’uguaglianza ma le condizioni di partenza sì. Significa che, in condizioni uguali di partenza, la società ha una sua fluidità e una sua capacità auto organizzativa, di attivare dinamiche, anche di conflitto interno, che poi portano alla crescita dell’uglianza e quindi nessuno dall’alto può determinare condizioni per l’uno o per l’altro ma è la società stessa che le determina al suo interno. E questo è il grande ruolo del sindacato e dell’associazionismo, e cioè muoversi all’interno della Società, anche conflittualmente ma sempre nelle regole del conflitto democratico, verso l’acquisizione dei diritti, della maggiore uguaglianza. Il diritto al lavoro non può essere un dato precostituito, è un dato che si conquista e il sindacato è l’attore principale nella conquista di questi diritti e va garantita la sua autonomia, la sua capacità di dialogo e di conflitto con la politica. E questo è un patrimonio della cultura cattolica: noi non abbiamo mai avuto in mente di mantenere il cordone ombelicale tra il partito e il sindacato, noi abbiamo avuto in mente l’autonomia dei rapporti tra impegno sociale e impegno politico e questa è stata la base della modernizzazione di questo paese che non possiamo buttare via e anzi va ripresa in maniera consapevole. E le Acli in questo senso hanno un ruolo di riflessione e fondativo molto importante.