Decreto Flussi, Acli: basta con la logica emergenziale serve riforma complessiva su immigrazione

È in corso di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale l’ennesimo decreto flussi 2021/2022 che stabilisce una quota massima di 69.700 ingressi di lavoratori non comunitari subordinati, stagionali e non stagionali, e di lavoratori autonomi che potranno fare ingresso in Italia.

Di questi ingressi, 27.700 è la quota per lavoro subordinato non stagionale, autonomo e conversioni di cui 20.000 riservati per motivi di lavoro subordinato non stagionale, nei settori dell’autotrasporto merci per conto terzi, dell’edilizia e turistico-alberghiero.

La restante quota dei 7.000 ingressi è dedicata ai cittadini non comunitari che abbiano completato un ciclo di formazione nei Paesi di origine, ai cittadini di origine italiana residenti in Venezuela e ai cittadini non comunitari per lavoro autonomo.

La maggiore quota – 42.000 persone – è dedicata ai lavoratori stagionali nei settori agricolo e turistico-alberghiero. Per il settore agricolo non si prevedono più di 14.000 persone, le cui istanze di nulla osta dovranno essere presentate, in nome e per conto dei datori di lavoro, da alcune organizzazioni professionali di datori di lavoro ( Cia, Coldiretti, Confagricoltura, ecc.).

 

E’ dalla fine degli anni ’90 che si prevede l’unica misura del decreto flussi insieme a quella della sanatoria/regolarizzazione ex post; ciò dimostra chiaramente come una politica dell’immigrazione non possa essere basata solo sulla determinazione di rigide quote d’ingresso, tant’è che si deve poi ricorrere alla misura riparativa della sanatoria, con tutto le falle che questo sistema ha dimostrato di avere (in un anno, si sono regolarizzati solo il 30% dei richiedenti).

 

Le nuove tipologie di lavoro come quella del trasporto e del turismo in cui manca oggi la manodopera, dimostrano, in effetti, il bisogno che l’Italia ha dei lavoratori stranieri. E’ l’economia a richiedere gli immigrati, ma la politica fa fatica, per questioni ideologiche, a rispondere ai cambiamenti socio-economici del Paese.

 

Nella totale mancanza di politiche del lavoro rivolte agli immigrati, ben venga quindi il decreto flussi, ma attenzione alla trappola della L. Bossi Fini, secondo cui, attraverso questi, si ammettono solo le assunzioni dei lavoratori direttamente dall’estero. Si tratta di un meccanismo illogico, in cui si è costretti ad assumere qualcuno a occhi chiusi, senza averlo neanche mai visto prima.

 

Di fronte a tutte queste incongruenze, le Acli ribadiscono, pertanto, la necessità di abbandonare la logica emergenziale, riparativa e securitaria delle attuali politiche di immigrazione a favore di un ri-disegno della legge quadro sull’immigrazione, una riforma che sia strutturale, di sviluppo e di ampio respiro.

Il mondo è completamente cambiato: da una parte la mobilità umana è un dato di fatto; dall’altra parte il nostro Paese non può fare a meno degli immigrati, sia da un punto di vista demografico, sia fiscale ed economico, sia culturale.

La sommatoria di questi due fattori indica chiaramente la necessità di prendere una nuova direzione prima che l’unica risposta sia – se va bene – un ulteriore decreto flussi.