Domenica 10 febbraio 2019

Dal vangelo secondo Luca (Lc 5,1-11)

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Lasciarono tutto e lo seguirono

A cura di don Roberto Fiorini, assistente spirituale ACLI Mantova

Dopo la rivelazione e il durissimo scontro nella sinagoga di Nazareth, Luca, seguendo il tracciato del vangelo di Marco, presenta l’agire messianico di Gesù nella città di Cafarnao. Insegna con autorità, ma non si accenna ai contenuti della predicazione. Ci presenta, Invece, il suo agire liberante: nella sinagoga di sabato libera un uomo dominato da poteri demoniaci, nella casa di Simone guarisce dalla febbre sua suocera, al tramonto del sole una folla di malati e posseduti trovano in Lui l’aiuto desiderato. Al mattino presto si reca in un luogo deserto a pregare. Lo cercano, tentano di trattenerlo, ma Lui deve proseguire il suo cammino con la predicazione nelle sinagoghe.
Nel testo che leggiamo oggi, però, cambia lo scenario. Siamo all’aperto, in riva al lago di Gennèzaret, fuori dai luoghi di culto: dove la gente lavora, si rifornisce di cibo, si incontra. Un luogo aperto a chiunque.  La folla si riunisce per ascoltare Gesù, dinanzi al panorama del lago. La gente lo pressa, addirittura lo sommerge, tanta era la calca. Accanto c’erano due barche ormeggiate, con i pescatori che lavavano le reti dopo una notte di fatica senza risultato. Sale sulla barca di Simone, che già conosceva perché era stato suo ospite, e da quel pulpito inizia il suo insegnamento. Anche in questa narrazione non si fa cenno ai contenuti del suo annuncio. E’ l’agire di Gesù che viene collocato al centro. Simone è comunque pienamente coinvolto perché è dalla sua barca che Gesù parla, particolare non casuale nella sequenza narrativa. Infatti, terminato l’insegnamento alla folla, si rivolge direttamente a lui dicendogli di prendere il largo e di lanciare le reti per la pesca. Simone fa presente di aver lavorato inutilmente tutta la notte, e aggiunge «ma sulla tua parola getterò le reti». Elemento da sottolineare è la fiducia di Pietro nella parola di Gesù e l’adesione, nonostante il momento della giornata non fosse il più favorevole. Il risultato è straordinario: le due barche a mala pena riescono a galleggiare per il carico di pesci. Dinanzi all’evento, lo stupore è generale, ma ora c’è Pietro al centro della scena.  Si inginocchia di fronte a Gesù: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Ora è la sua soggettività che è pienamente coinvolta, svelata ai propri occhi e afferrata da qualcosa di nuovo che sta accadendo. Percezione della distanza dinanzi a Colui che comanda all’abisso: scoprirsi peccatore rispetto al Santo (lo chiama Signore) di cui percepisce la presenza. La dinamica è analoga a quella che troviamo nel libro di Isaia. Nel tempio di Gerusalemme, dinanzi alla proclamazione del tre volte Santo, tanto da sentirne la presenza, la reazione prima del profeta assomiglia a quella di Pietro: «Ohimè sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure, io sono». C’è bisogno di un intervento esterno rispetto al soggetto. Con Isaia avviene la purificazione delle sue labbra, per Pietro c’è la rassicurazione perentoria, quella che apre al futuro: «Non temere!». Luca aveva utilizzato questa espressione in momenti di assoluto rilievo: nell’annunciazione a Maria e nella rivelazione ai pastori, invitati ad andare a vedere il segno, il bambino avvolto in fasce. Anche nell’Antico Testamento troviamo il «non temere» come sigla di Dio alla quale segue qualcosa di importante che comincia. E cosa inizia per Pietro? «D’ora in poi sarai pescatore di uomini». Il testo letterale dice: «D’ora in poi prenderai vivi gli uomini» cioè li strapperai dall’abisso, dal potere della morte. Può essere di aiuto il salmo che troviamo nel libro di Giona, scaricato dalla nave e solo in mezzo al mare: «Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l’abisso mi ha avvolto…ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore, mio Dio».
La grande pesca miracolosa diventa la figura dell’opera indefessa che riguarda l’umanità intera, la mission di Gesù alla quale aggrega Pietro e gli altri soci di Simone. «Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono».
I tre vangeli sinottici riportano l’episodio agli inizi dell’attività pubblica di Gesù connessa alla chiamata dei primi discepoli. Giovanni lo presenta nel capitolo finale: anche qui notte di fatica inutile. Solo sulla sua parola la pesca diventa fruttuosa: pescare uomini/donne allo scopo di salvare le loro vite.
Che ci dice questo vangelo? In particolare la parola di Gesù: «Prenderai vivi gli uomini». Ci potrebbero essere vari sviluppi. Ma oggi occorre fissare l’attenzione su quanto avviene nel nostro mare, dove migliaia di persone chiedono aiuto. Ricordo un evento tragico tra i moltissimi che in questi anni sono avvenuti. Il 18 gennaio scorso, 117 migranti, tra cui donne e bambini, al largo di Tripoli per ore hanno implorato di essere salvate, prigioniere sul loro gommone che si sgonfiava. C’era il tempo per salvarle. Sono state abbandonate in balia dell’abisso. Si è deciso di non salvarle. Uno dei tre sopravvissuti ha detto «meglio morire che tornare in Libia» dove la violenza, il ricatto, gli stupri, la tortura e anche la soppressione appartengono alla normalità. «La banalità del male», come diceva Hanna Arendt. E da noi la banalità di una propaganda che ci presenta la Libia come un porto sicuro e affidabile. Al tempo del nazismo Bonhoeffer diceva: «Soltanto chi grida per gli ebrei può cantare anche gregoriano». Oggi possiamo dire: «soltanto chi si schiera per la salvezza dei migranti può afferrare il messaggio di Gesù».