Domenica 18 novembre 2018

Dal vangelo secondo Marco (Mc 13, 24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

 

Pellegrini in cammino verso il compimento

A cura di don Claudio Arletti, collaboratore Acli Modena

Il sole che arde da miliardi di anni e la luna che risplende nel cielo hanno segnato con il loro sorgere le stagioni del­l’u­ma­nità. E mentre i popoli e le razze di ogni epoca si avvicendavano sotto la loro luce, essi rimanevano immutati, sempre i­dentici a se stessi almeno ai nostri occhi. Per questo la volta stellata, la luna e il sole sono diventati simboli di eternità, di ciò che non passa.

Eppure il brano di oggi, con grande coraggio, ci suggerisce che anche le grandi luci del cielo un giorno si spegneranno (v. 24). Tutto avrà una fine. Anche ciò che sembra eterno conoscerà un termine. Il cielo e la terra passeranno, l’universo passerà (v. 31). Solo la parola di Dio rimane, solo la parola di colui verso il quale cammina il destino dell’universo non muterà, come una stella polare che orienta il cammino della storia.

La fine di tutto è descritta da Marco con tinte forti. Qui anche Gesù attinge ampiamente alla tradizione apocalittica, così viva al suo tempo. Essa ama esprimersi attraverso frasi enigmatiche e cariche di risvolti simbolici. Anche questo genere letterario tuttavia non nasce per soddisfare la pura curiosità dell’uomo su come avverrà la fine del mondo. Gesù non voleva rivelare come sarà la fine, ma qual è il fine del nostro universo.

L’immagine suggestiva che egli utilizza è profondamente e­vocativa: una pianta che si risveglia dal letargo invernale e vive la sua primavera. Le prime gemme non hanno solo la bellezza di una nuova fioritura, sono il segno di una stagione che cambia, dell’estate che arriva con il suo carico generoso di luce e calore. Anche la natura che abbiamo intorno può essere una «parabola» da cui apprendere come vivere lo scorrere del tempo.

La storia che viviamo è una pianta che giunge alla sua maturazione. Il destino dell’universo è quello di arrivare alla sua fioritura. E la nostra primavera ha un nome solo: «così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte» (v. 29). Cristo è la pienezza del tempo e il centro del nostro futuro. Marco allora personalizza in un modo estremo l’accadere degli eventi ultimi. Non si tratta di un avvenire anonimo e senza volto, dai contorni confusi e sfumati. La conclusione del versetto focalizza tutto il «sapere» dei discepoli attorno a colui che è l’alfa e l’omega dei secoli. Egli sarà «alle porte»; le dischiuderà, manifestando finalmente tutta la pienezza della sua presenza.

L’immagine del fico presuppone però un osservatore attento: Dio non usa mai effetti speciali. Chiede a noi di percepire la sua azione discreta e continua. Se non viviamo nell’attesa, perché mai dovremmo aguzzare gli occhi per scorgere i segni di Dio? Forse troppe volte la routine di ogni giorno ci fa dimenticare il divenire lento ma costante della nostra storia. Essa ci impone un determinato stile di vita. Noi siamo pellegrini in cammino, ma con il rischio sempre presente di dimenticare la Parola che salva e tramutarci in pantofolai.