Europa bene comune

Il 9 maggio 2020, sarebbe stato l’inizio di un percorso fondamentale per l’Unione Europea. Il Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, avrebbe dovuto dare il via ufficiale alla Conferenza sul futuro dell’Europa. Opportunamente questo appuntamento è stato fermato, insieme a gran parte delle attività politiche nell’UE dal COVID-19.

Il dibattito si è spostato sul ruolo dell’Europa in questa crisi, sulla misura della solidarietà europea nel momento più difficile per l’Unione. Questo periodo lascerà nella nostra memoria alcune immagini drammatiche ma, allo stesso tempo, ci porta a fare delle considerazioni di ordine politico e sociale.

Partendo dalla crisi che stiamo vivendo, cosa succederebbe al nostro Paese se l’Europa non ci fosse? Come riusciremmo ad affrontare le conseguenze,  sul piano economico, che l’epidemia ha portato con sé?

Per prima cosa non ci sarebbe nessuna solidarietà economica: oggi sono 540 miliardi di euro le risorse stanziate a favore dei Paesi membri. Il SURE (“Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”) è il piano da 100 miliardi per finanziare la cassa integrazione d’emergenza per i lavoratori dell’Unione, il fondo di garanzia per prestiti alle imprese per 200 miliardi di euro e i 240 miliardi legati agli aiuti ai paesi la gestione della crisi pandemica dedicati al settore sanitario.

Inoltre la BCE ha programmato 750 miliardi per l’acquisto di titoli pubblici e privati. A queste tutele economiche si aggiungono i meccanismi di semplificazione dei trasferimenti tra fondi europei e regioni e l’allentamento dei meccanismi di stabilità finanziaria. Sulla ricerca scientifica per vaccini e trattamenti , invece, dall’Europa è arrivato un investimento di quasi 500 milioni di euro.

Una risposta importante e concreta che dimostra come la cooperazione rafforzata tra i paesi membri riesce a mobilitare risorse significative. Una risposta a chi ancora crede che è meglio affrontare queste sfide da soli.

Ma l’Unione Europea non sopravviverà se gli egoismi continueranno a soffocarla con i distinguo e la ricerca di un capro espiatorio da offrire alle opinioni pubbliche.

Dobbiamo mobilitarci subito per riscrivere un nuovo patto di convivenza europea che, come immaginato nella conferenza, riparta dalle fondamenta democratiche e partecipative dell’Unione.

L’Unione europea deve uscire dai riti paralizzanti dei meccanismi intergovernativi con l’obiettivo di colmare il vuoto che separa i valori insiti nelle società europee e i blackout delle istituzioni. ISi tratterebbe di rendere il sistema europeo più trasparente e più democratico, dunque più efficace, affinché tutte le opportunità che solitamente  può offrire solo la dimensione sovranazionale si traducano in beni pubblici europei per tutti. Aldilà delle manovre economiche, infatti, dobbiamo dare capacità decisionale e di investimenti sui beni pubblici agli organi comunitari, uscendo dal meccanismo del potere di veto dei singoli Stati.

E’ necessaria una strategia industriale comune,  con una posizione unitaria nel rapporto con le potenze globali, in modo da essere protagonisti con le nostre imprese dei processi macro della globalizzazione per renderla più sostenibile e più umana.

E’ necessaria una politica sociale comune perché nella diversità c’è bisogno di dare a tutti le opportunità per formarsi e lavorare con dignità.

Oggi il Parlamento europeo deve cogliere l’occasione del 70mo anniversario della Dichiarazione Schuman  per affermare la sua volontà di assumere un ruolo costituente – a nome delle cittadine e dei cittadini che hanno voluto l’europa – aprendo la strada ad un salto federale e verificando chi fra gli Stati e i popoli europei sia disposto a dar vita ad un “patto rifondativo” come risposta alla interdipendenza, nella dimensione planetaria tragicamente evidenziata dalla pandemia, come abbiamo sottolineato con il Movimento Europeo.

Con questo spirito la Conferenza sul futuro dell’Europa dovrà essere concepita come uno spazio pubblico di dialogo transnazionale, tra le dimensioni della democrazia rappresentativa e della democrazia partecipativa, per fornire al Parlamento europeo – in un tempo che tenga conto dell’urgenza di rispondere alla sfida della pandemia – un’indicazione delle priorità per il suo lavoro costituente.

 

Matteo Bracciali

Vicepresidente FAI

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