Ma The Institution non può essere il competitor

Steve Bannon lavora per la nascita e l’affermazione di un partito chiamato The Movement, per raccogliere tutti i cosiddetti populisti. Due domande.

La prima. All’open society propugnata – secondo Bannon – da George Soros, si risponderebbe così con una società che si sente più sicura (muri), più autonoma (vincoli europei) e più omogenea (etnia), in sostanza una società più chiusa: dall’internazionalismo al nazionalismo attraverso il sovranismo. Sembrerebbe tutto così facile… Ma è davvero così? Davvero è possibile che nel XXI secolo si possa anche solo ipotizzare un mondo più chiuso, meno connesso? Oggi gli stati non sono più realtà dal potere assoluto rispetto ai propri destini, perché non tutto dipende dalle loro proprie azioni. La tendenza sembra andare, al contrario, verso una sempre maggiore relazionalità. È davvero possibile tornare indietro?

La seconda. Se prendessimo spericolatamente a prestito le note categorie di Francesco Alberoni, allora verrebbe da dire che ad un raggruppamento che di nome fa The Movement ne dovrebbe far fronte un altro chiamato The Institution. In fondo – come dice ancora Bannon – Il Movimento sarebbe la casa della gente comune, quella guardata dall’alto in basso dalle élite. Ma senza élite, senza gruppi dirigenti, senza corpi intermedi, senza istituzioni è davvero possibile governare una realtà complessa come l’Italia? Non è ovvio – dalla teoria alla storia – che un movimento, al termine del suo percorso nascente, si trasformi comunque in istituzione, in regola, in stabilità? Ridurre un partito allo stato di movimento appare poco realistico, perché in politica il movimento e l’istituzione sono solo due tempi diversi di un medesimo fenomeno. Contrapporli sarebbe un danno.

Sullo sfondo c’è sempre l’idea di Europa. Un raggruppamento tenderà a ridurla, se non ad annullarla, l’altro invece ad implementarla. Allora aperto e chiuso assumono un significato storicamente molto forte. Sarà una battaglia campale.

Roberto Rossini