Trasfigurazione del Signore

Domenica – 6 agosto 2017 – Anno A
Parola del giorno: Dn 7,9-10.13-14; Sal 96; 2 Pt 1,16-19; Mt 17,1-9

DAL VANGELO SECONDO MATTEO (Mt 17,1-9)

In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

COMMENTO AL VANGELO
a cura di don Andrea Del Giorgio, accompagnatore spirituale Acli Sondrio

Una delle cose meno intelligenti che un cristiano può fare è accostarsi a un brano noto del Vangelo pensando di sapere già. Il brano della trasfigurazione nel Vangelo di Matteo è un complesso e difficile gioco di allusioni in filigrana. L’anonimo monte, su cui avviene la vicenda narrata, si aggiunge, in Matteo, a quello delle tentazioni, alla montagna delle beatitudini, al monte degli ulivi e a quello in Galilea dove si conclude il Vangelo. Le ipotesi geografiche a proposito del monte Tabor o dell’Hermon, probabilmente, devono essere messe in secondo piano: l’“alto monte” della trasfigurazione è un riferimento al monte Sinai.

Caro lettore del Vangelo rassegnati: mentre cerchi di decifrare lo scritto di Matteo, tieni un dito come segno tra le pagine del libro dell’Esodo. Posa scomoda ma indispensabile.
Gesù sale sul monte alto con tre (due fratelli più uno) dei dodici, come Mosè salì il Sinai con Aronne e i suoi due figli, Nadab e suo fratello Avihu, mentre il resto delle dodici tribù aspettavano sul piano. Il volto di Gesù risplende, come quello di Mosè dopo la visione di Dio. Appaiono Mosè ed Elia entrambi legati al monte Sinai. Compare una nube luminosa, che richiama entrambe le manifestazioni di Dio nel cammino attraverso il deserto, la colonna di nube di giorno e la colonna di fuoco di notte.

I riferimenti sono talmente lampanti per l’ebreo medio che Pietro si lancia in una proposta di sapore biblico: una riedizione degli accampamenti del deserto sotto forma di tre tende da beduino.
L’episodio, così complesso, vuole forse rendere in forma narrativa un’esperienza difficilmente comunicabile con le parole. Una rivelazione della gloria di Dio che passa attraverso il confronto di Gesù con le Scritture, rappresentate da Mosè, che è simbolo della prima parte della Bibbia ebraica, la Torah, e da Elia, i Profeti.

Anche la voce di Dio è un raffinato mosaico che spazia su tutta la Bibbia con una tessera, “questi è il Figlio mio”, tratto dal salmo 2, dalla terza parte delle Scritture ebraiche, gli Scritti, un’altra, “il prediletto”, riferita originariamente ad Isacco e facente parte della Torah, la terza, “nel quale mi sono compiaciuto”, dal profeta Isaia. Siamo davanti ad un’opera d’arte affascinante e bella.

Oggi, però, nei confronti della bellezza, che esprime la gloria di Dio e porta a scelte forti di dono della vita, abbiamo un problema: se i nostri avi, di fronte ad un calice d’oro sapientemente cesellato o ad un paramento liturgico solennemente ricamato, si riempivano gli occhi e sospiravano «Che bello!», oggi per dispetto o vanità, a seconda delle sensibilità, pensiamo «Chissà quanto costa?».

«Quale bellezza salverà il mondo?». Oggi ad affascinare e salvare da un’esistenza sprecata tra consumi e affanni è la bellezza della vita di discepoli che, nonostante i loro limiti e il loro peccato, non si adeguano alle ingiustizie e all’individualismo, ma si impegnano per un mondo più giusto e trasmettono un riflesso del fascino della vita donata del Maestro.