Un patrono per l’Amazzonia, un martire della carità. La storia di padre “Lele” Ramin

di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana

La richiesta viene da 200 vescovi brasiliani. In una lettera al papa chiedono un patrono per l’Amazzonia e per l’imminente Sinodo che si sta per celebrare. Nel testo supplicano Francesco
di riconoscere come martire padre Ezechiele Ramin, comboniano, originario di Padova, ucciso nel 1985 mentre era impegnato a difendere i diritti delle comunità senza terra, nella diocesi di Cacoal, nello Stato brasiliano di Rondonia, venuto recentemente alle cronache per gli spaventosi incendi nella foresta amazzonica dello scorso mese appiccati da chi vuole disboscare illegalmente i terreni e renderli adatti all’agricoltura o all’allevamento, aumentandone così il valore.

Chi era padre “Lele” Ramin: martire in nome del Vangelo

“Lele”, come veniva chiamato dagli amici, aveva 32 anni ed era in Brasile da un anno e mezzo. Ordinato prete a Padova, studiò teologia a Chicago e dopo un’esperienza con i nativi del Dakota e in Messico, tornò in Italia, prima a Napoli, poi in Irpinia dopo il terremoto del 1980 e infine a Foggia. Fu mandato in Brasile, in Amazzonia. Erano gli anni di Puebla e di Medellin, gli anni di una Chiesa coinvolta e impegnata nell’opzione preferenziale dei poveri. Padre Ezechiele si mise a servizio di questa Chiesa. Leggeva e amava Bonhoeffer e dell’ “esistere per gli altri” aveva fatto la cifra della sua vita. In una lettera scrive: “Qui molta gente aveva terra, è stata venduta. Aveva casa è stata distrutta. Aveva figli, sono stati uccisi. Aveva aperto strade, sono state chiuse. A queste persone io ho già dato la mia risposta: un abbraccio”.
In questo modo, come ripete spesso suo fratello Antonio, “si trovò davanti i “faraoni” dell’epoca, ovvero i “fazenderos” che assoldavano “pistoleros” per assassinare chiunque si mettesse davanti alle loro mire espansionistiche, fossero indios, coltivatori, sindacalisti o preti.”
Fu una mattanza, poco conosciuta dal resto del mondo. Martiri in nome del Vangelo, non del marxismo.

“Ti appartiene la mia vita… Ti appartiene la mia morte”

Con lucidità, padre Ezechiele si rese conto che denunciando l’ingiustizia metteva a rischio la vita. Sapeva bene che “non si può difendere i poveri e salvarsi”, ma sapeva anche che non poteva non difenderli senza tradire la propria vocazione, il patto che aveva stipulato con loro. Nell’ultima omelia dirà alla sua gente: “Amo molto tutti voi e amo la giustizia. Non approviamo la violenza, malgrado riceviamo violenza. Il padre che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte. Caro fratello, se la mia vita ti appartiene, ti apparterrà pure la mia morte”.
Il 24 luglio 1985 padre Ezechiele, insieme a un sindacalista locale, partecipò a un incontro in una Fazenda di Aripuanã nel vicino Mato Grosso con l’intenzione di persuadere i piccoli agricoltori che lavorano lì a non prendere le armi contro i latifondisti. Al ritorno, fu vittima di un’imboscata da parte di sette sicari armati di pistola, che lo colpirono con oltre 50 proiettili.
Poiché la salma di Lele non poté essere recuperata dai suoi confratelli prima di 24 ore dopo l’omicidio, un gruppo di indios Surui vegliarono su di essa fino al loro arrivo. Alcuni giorni dopo il suo omicidio, papa Giovanni Paolo II lo definì un “martire della carità”.

Una poesia di padre Lele: “Abbiate un sogno”

Lele lo aveva scritto in una poesia mandata ai suoi amici.

Una cosa vorrei dirvi
È una cosa speciale per coloro
che sono sensibili alle cose belle.
Abbiate un sogno.
Abbiate un bel sogno.
Seguite soltanto un sogno.
Il sogno di tutta la vita.
La vita che è un sogno è lieta.
Una vita che segue un sogno
si rinnova di giorno in giorno.
Sia il vostro un sogno che miri a rendere liete
non soltanto tutte le persone,
ma anche i loro discendenti.
È bello sognare di rendere felice tutta l’umanità.
Non è impossibile…