Giovanni Paolo II abbraccia i giovani delle Acli

Il 4 gennaio 1983 rappresenta una data molto importante per la storia delle ACLI: dopo la difficile stagione della crisi con la gerarchia ecclesiastica degli anni Settanta, è la prima tappa della riconciliazione con la Chiesa. 

È ai giovani delle ACLI che il Giovanni Paolo II concede un’udienza riservata che si tiene presso la Sala Clementina in Vaticano, nell’ambito del XVI Congresso Nazionale di Gioventù Aclista (Roma, 3-6/1/1983).  

Vi partecipano circa 400 giovani aclisti guidati dal segretario nazionale Claudio Gentili e dal presidente delle ACLI Domenico Rosati, accompagnato dall’intero Comitato Esecutivo Nazionale. 

L’avvenimento è il primo segno che i rapporti tra le ACLI e la Chiesa si sono finalmente sbloccati 

Il benvenuto del Papa è quanto mai caloroso: «Vi saluto con gioia, cari partecipanti al XVI Congresso Nazionale delle Acli e in voi saluto tutti i giovani del vostro movimento». È singolare che nel testo scritto ufficiale si faccia riferimento al Congresso Nazionale delle ACLI, non di Gioventù Aclista. In tutto il discorso, in ogni caso, gli interlocutori del Pontefice sono i giovani aclisti. 

Sempre nell’inizio del discorso si legge, infatti: «Il mondo del lavoro ha oggi più che mai bisogno di una testimonianza cristiana e voi giovani, se fedeli a Cristo e alla Chiesa, siete, col dinamismo e l’entusiasmo che vi caratterizzano, i più idonei a testimoniare i valori propri del cristianesimo» 

Subito dopo, tuttavia, in un altro passaggio è evidente che egli si rivolge alle ACLI nel loro insieme: «Conosco il vostro slogan aclista: da cristiani nel mondo operaio. Siate fedeli all’esigente impegno che esso richiede. Dobbiamo finalmente ritenere superata l’infelice contrapposizione, che alcune ideologie del secolo scorso hanno voluto stabilire tra l’identità operaia e l’identità ecclesiale, tra il lavoro e la fede. Questa infausta contrapposizione ha spesso prodotto un’ulteriore umiliazione dell’uomo, tentando di spegnere in lui una luce che in realtà è insopprimibile. […] Voi, pertanto, avete nuove motivazioni per perseguire una fruttuosa solidarietà fra gli uomini del lavoro e la realizzazione di un’autentica giustizia sociale, prescindendo da teorie che riducano l’uomo a una solo dimensione, quella economicistica e materialista (Laborem Exercens, n.13). 

Sarete in grado di donare la testimonianza, di cui la società oggi ha bisogno, nella misura in cui saprete rendere sempre più vigorosa e creativa l’identità cristiana che ha dato origine alla vostra Associazione e che in alcuni momenti della vostra storia si è attenuata. Impegnatevi con generosità in questo sforzo, mentre proseguite la vostra attiva presenza nel tessuto sociale del vostro Paese. Ricordate sempre che essa sarebbe sterile se ciò avvenisse tralasciando di confrontarvi costantemente con la Parola di Dio autenticamente interpretata dal Magistero ecclesiastico e di inserirvi sempre più nella vita di fede delle vostre comunità ecclesiali». 

Nel richiamo all’enciclica Laborem Exercens, pubblicata il 14 settembre del 1981– nella ricorrenza del novantesimo della madre di tutte le encicliche sociali, la [dt_tooltip title=”Rerum Novarum”]Rerum Novarum («Delle cose nuove») è l’enciclica sociale promulgata il 15 maggio 1891 da Papa Leone XIII, con la quale per la prima volta la Chiesa cattolica prese posizione in ordine alle questioni sociali e fondò la moderna dottrina sociale della Chiesa.[/dt_tooltip] – Giovanni Paolo II sa di avere degli interlocutori attenti e partecipitoccando le corde più profonde dei giovani aclisti:il lavoro, rimesso al centro della vita sociale e politica, è considerato un dovere e un diritto e anche un bene collettivo. Ancor più nel disegno della rivelazione e della salvezza, l’uomo, creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all’opera del Creatore e a misura delle proprie possibilità, continua a svilupparla e la completa. 

Il tema della pace affrontato nella seconda parte del discorso di Giovanni Paolo II ha nell’uditorio una profonda condivisione ideale e anche emozionale.  

Nel XV Congresso Nazionale delle ACLI (Bari, 7-10/12/1981) la questione della pace e del disarmo era stata il leitmotiv della relazione introduttiva e di molti degli interventi e nell’aprile del 1982 le ACLI e, al loro interno con particolare entusiasmo, Gioventù Aclista, avevano dato un contributo importante all’organizzazione della memorabile manifestazione di Comisodavanti alla base della Nato per protestare contro l’installazione di 112 missili nucleari a lunga gittata decisa dal governo USA, che aveva visto la partecipazione di movimenti pacifisti di tutta Europa. 

Esplicito e sincero al riguardo è il riconoscimento e l’apprezzamento di Giovanni Paolo II: «Il tema del vostro congresso suona: “La Pace è il destino dell’uomo”. Quale densità di concetti è racchiusa in questo motto! Esso è radicalmente cristiano e richiama quegli antichi e solenni testi biblici in cui il Profeta prospetta al popolo di Dio orizzonti radiosi di armonia, di concordia e, appunto, di pace: quando “forgeranno le loro spade in vomeri” (Is 2,4), quando “il lupo dimorerà insieme con l’agnello” (Is 11,6), quando “l’arco di guerra sarà spezzato” (Zac 9,10). È forse utopia tutto ciò? Vana speranza? Illusione? No! Il cristiano sa che, al contrario, questo è il destino dell’uomo! Egli sa che, se pur non si tratta di un traguardo imminente, esso è sicuro e merita ogni più generosa dedizione per avvicinarvisi sempre maggiormente. E ogni fatica per questo fine non è inutile ma feconda. Le parole profetiche, infatti, sono non soltanto il nostro conforto, ma anche il nostro sprone. Una cosa è certa: il Signore ha “progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza” (Ger 29,11). 

Ma è un destino questo a cui l’uomo deve contribuire, proprio perché lo riguarda. E non si prepara certo un destino di pace ricorrendo ai conflitti, alle violenze, alle sopraffazioni, sia nella vita internazionale, sia nei rapporti fra i gruppi e le forze sociali. Come mi sono espresso nel messaggio per la Giornata mondiale della Pace del primo gennaio scorso, non lo scontro ma il dialogo è necessario per la vera pace. Solo esso permette di conoscersi, di capirsi, di incontrarsi. Esso, infatti, è già della stessa natura dello scopo che si vuole raggiungere, poiché per ottenere la pace occorrono mezzi pacifici, conformemente al principio secondo cui solo il simile genera il proprio simile» 

A cura dell’Archivio Storico Acli Nazionali

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